Blog : Malattie del cane

Displasia nel cane: come prevenirla nel tuo cucciolo

Displasia nel cane: come prevenirla nel tuo cucciolo

Cari amanti degli animali,

Nella nostra costante ricerca per migliorare la salute e il benessere dei vostri fedeli amici, desideriamo evidenziare l’importanza dello screening ortopedico precoce per i cuccioli di cane di taglia media, grande e gigante.

Presso la Clinica Veterinaria San Maurizio, ci impegniamo a offrire un servizio completo e personalizzato per garantire una vita sana e felice ai vostri amici pelosi.

 

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Vomito, istruzioni per l’uso!

Vomito, istruzioni per l’uso!

Il vomito è uno dei sintomi più comuni nei nostri cani e gatti. 

Vediamo di capire meglio come gestirlo:

II vomito o emesi è l’espulsione rapida attraverso la bocca di materiale gastrointestinale, provocata dalla rapida contrazione involontaria dei muscoli dell’addome, associata ad un’apertura del cardias (lo sfintere attraverso il quale l’esofago sbocca e s’immette nello stomaco) in seguito ad un’onda antiperistaltica che parte da quella parte di piccolo intestino detta digiuno.

Il materiale emesso può essere alimentare o non alimentare.

E’ bene differenziare il vomito dal rigurgito perché quest’ultimo è una risalita del contenuto gastrico nella bocca che avviene senza la contrattura dei muscoli dell’addome e non preceduta da nausea.

Dopo il vomito può venire molta sete, ma finché lo stomaco è infiammato ne conseguiranno ulteriori episodi di vomito. 

E’ bene quindi togliere le ciotole di acqua e cibo per qualche ora dopo il vomito. 

Il vomito è un sintomo molto aspecifico. 

Può essere dovuto a cause riferibili al tratto digestivo:

– Malattie ostruttive, tra cui neoplasie

– Ulcere

– Infezioni, tra cui gastrite, gastroenterite

– Malattie infiammatorie, tra cui colecistite, pancreatite, appendicite, epatite

– Alterazioni della motilità

 

Oppure può essere secondario a cause estranee al sistema digerente:

– Malattie cardiopolmonari

– Alterazioni del sistema sensoriale, tra cui cinetosi, labirintite

– Malattie e disfunzioni cerebrali, tra cui commozione, emorragie, ascessi, idrocefalo, tumori, ipertensione endocranica

– Alterazioni metaboliche, fisiologiche o indotte:

Malattie della tiroide e paratiroidi

Uremia

Chetoacidosi

Insufficienza surrenalica

Ipoglicemia ed iperglicemia

Gravidanza

 

– Assunzione di varie sostanze:

Farmaci, tra cui chemioterapici, analgesici, antibiotici, digossina, oppiacei, gli appositi farmaci emetici

Sostanze tossiche.

Tossine endogene, o di origine microbica prodotte in corso di infezione o introdotte per via alimentare.

 

Dopo il digiuno è possibile somministrare un protettore gastrico (Solo dopo consulto con il Veterinario curante) e poi proporre una dieta molto digeribile e frazionata (piccoli pasti frequenti) per qualche giorno.

Ovviamente è fondamentale individuare la causa scatenante il vomito ed è quindi bene consultare il proprio Veterinario e prenotare una visita tempestiva qualora gli episodi di vomito fossero ripetuti. 

Una causa particolare di vomito può essere la cinetosi ovvero la nausea scatenata dal “mal d’auto”, per prevenire questo malessere è bene abituare sin da piccoli i nostri animali ai viaggi proponendo dei percorsi via via più lunghi (si può partire dalla sosta in auto per qualche minuto, al giro dell’isolato e così via… ).

E’ possibile inoltre ricorre a particolari cerotti allo zenzero da applicare su pettorina/trasportino fino a veri e propri farmaci antinausea dopo essersi consultati con il proprio Medico Veterinario. 

Importantissimo ricordarci che conati di vomito improduttivi (ovvero senza emissione di contenuto gastrico) sono tipici della torsione di stomaco (Vedi: https://www.clinicaveterinariasanmaurizio.it/che-cose-la-torsione-dello-stomaco-e-come-prevenirla/) che è una vera e propria emergenza e che è quindi bene, in caso di comparsa di questo tipo di sintomatologia, di recarci immediatamente dal Veterinario per una visita. 

Crisi convulsive e stato epilettico nel cane e nel gatto

Crisi convulsive e stato epilettico nel cane e nel gatto

Le crisi convulsive sono un’ emergenza molto frequente nei nostri animali; si realizzano quando alcuni neuroni sviluppano una attività anomala a cui sono associate differenti manifestazioni cliniche, dipendenti dall’ estensione e dalla localizzazione dell’area cerebrale coinvolta.

Proprio per il fatto che possono essere interessate diverse aree del sistema nervoso centrale, e quindi manifestare sintomatologie differenti, è difficile descrivere univocamente tutte le crisi convulsive.

L’area del cervello dove si verifica l’attivazione di una popolazione di neuroni viene definito “focus epilettogeno”, l’attività anomala dell’area può generare manifestazioni cliniche differenti in funzione alla dimensione dell’area cerebrale colpita ed all’attività dei neuroni inibitori circostanti, questi ultimi bloccano il propagarsi della scarica elettrica ed il manifestarsi dei sintomi.

Quando questi neuroni sono in grado di inibire la scarica elettrica, il paziente non manifesta segni evidenti di una crisi convulsiva, che è però rilevabile con l’elettroencefalogramma (EEG).

In alcuni pazienti l’equilibrio tra focus epilettogeno e neuroni inibitori può rompersi a seguito di alterazioni  metaboliche quali ad esempio: ipoglicemia, ipossia, squilibri elettrolitici, ipertermia, in questi casi possono manifestarsi i sintomi della crisi convulsiva.

 

 

Le crisi convulsive possono essere distinte in:

  • crisi focali;
  • crisi convulsive parziali (semplici o complesse);
  • crisi convulsive generalizzate.

Le crisi convulsive focali, non sono rilevabili clinicamente, ma alterano l’elettroencefalogramma.

Le crisi convulsive parziali si distinguono in semplici o complesse, sono rilevabili clinicamente come contrazioni di alcuni gruppi muscolari, alterazioni del sensorio con o senza perdita di coscienza e dovute all’attivazione di una piccola area del prosencefalo alterata strutturalmente o di origine idiopatica.

Le semplici sono responsabili di un’attività contratturale della muscolatura scheletrica, mentre le complesse, oltre alla contrazione della muscolatura scheletrica, possono dare origine a crisi generalizzate e sono associate ad alterazioni comportamentali o della coscienza. Entrambe possono colpire un solo lato del paziente indicando così l’area coinvolta.

Le crisi convulsive generalizzate si manifestano con contrazioni della muscolatura scheletrica, perdita della stazione, movimento di pedalamento, dilatazione pupillare, perdita della coscienza, mandibola serrata, possibile scialorrea, perdita di urine e feci.

Le crisi possono durare pochi secondi o minuti; quando le crisi non manifestano segni di recupero, ma persistono (5 minuti o più) si definisce stato epilettico che può produrre lesioni neurologiche e necrosi dei tessuti nervosi. Lo stato epilettico può presentarsi anche come crisi convulsive di lunga durata intervallata da periodi di incoscienza.

Le crisi cosiddette a grappolo o cluster sono crisi convulsive che si ripetono nell’arco di 1-24 ore. Tra una crisi e la successiva il paziente ritorna a uno stato mentale e motorio normale con una fase “post ictale” (Vedi sotto), in alcuni casi il paziente può restare incosciente.

Lo stato epilettico necessita di cure immediate perché può compromettere le funzioni vitali impedendo una normale ventilazione e perfusione tessutale, le crisi convulsive possono talvolta essere gestite con terapie domiciliari.

Nelle crisi convulsive si distingue una fase pre ictale, o pre-crisi, durante la quale è possibile riscontrare alterazioni comportamentali e molto frequentemente agitazione con ricerca del proprietario e può durare da pochi secondi, a ore o addirittura giorni.

La fase ictale corrisponde alla crisi vera e propria con la comparsa della caratteristica sintomatologia.

La fase post ictale ha durata estremamente variabile da pochi minuti ad alcuni giorni può manifestare una sintomatologia molto varia, ad esempio: debolezza, disorientamento, paura, midriasi, cecità di origine centrale transitoria e polifagia.

 

Le cause delle crisi convulsive possono essere classificate in due grandi categorie: intra e extra craniche.

Le extracraniche sono in genere conseguenti a squilibri metabolici o patologie sistemiche che producono alterazioni dello stato elettro-fisiologico del tessuto cerebrale causando più frequentemente crisi convulsive generalizzate.

Possono essere dovute a:

  • accumulo di tossine (ad es. insufficienza epatica e renale);
  • disturbi metabolici (ad es. ipoglicemia, iperlipidemia, ipocalcemia, ipotiroidismo);
  • ipossia;
  • ipertermia;
  • intossicazioni (ad es.: teobromina, caffeina, organofosfati, piombo, stricnina);
  • parassiti intestinali.

Le patologie di origine intracranica, identificate come cause primarie sono:

  • patologie congenite (ad es. malformazioni);
  • neoplasie cerebrali;
  • processi infiammatori (ad es.: encefaliti);
  • degenerazione (ad es. da compromissione vascolare)
  • traumi.

I farmaci d’elezione di primo impiego nella terapia dello stato epilettico sono le benzodiazepine a rapida diffusione nel sistema nervoso centrale quali il diazepam o il midazolam.

Quando non è possibile avere un accesso vascolare è possibile somministrare le benzodiazepine  per via rettale.

I pazienti refrattari alla terapia con le benzodiazepine devono trattati con i barbiturici ( Es. fenobarbitale).

Oltre all’utilizzo di farmaci anticonvulsivanti è necessario controllare la temperatura, di fatto l’attività convulsiva può causare un drammatico aumento della temperatura basale (anche maggiore di 40,5°C).

Nei pazienti ipertermici  è necessario un intervento veterinario rapido. Nel frattempo è possibile bagnare con acqua fresca le estremità degli arti e, se necessario, usare anche un ventilatore, tale procedura deve essere effettuata fino al al raggiungimento dei 39,5°C (oltre può esservi rischio di ipotermia).

E’ sconsigliato l’utilizzo del ghiaccio a contatto con la superficie corporea per evitare la vasocostrizione locale che ostacola la termodispersione.

L’ipertermia può causare coagulazione intravasale disseminata, ipoglicemia, ipotensione, edema polmonare e compromissione della funzione cerebrale e vitale.

Il deficit della perfusione può essere conseguente all’ipertermia e allo shock distributivo; i pazienti devono essere strettamente monitorati e trattati con ossigenoterapia o ventilazione a pressione positiva.

Comunemente a seguito di una violenta attività convulsiva si verifica un’edema cerebrale che deve essere trattato tempestivamente.

Quando il paziente è stabile può essere impostata una terapia con fenobarbitale ed eventualmente con bromuro di potassio a discrezione del neurologo veterinario.

Il fenobarbitale è il barbiturico più utilizzato nelle sindromi convulsive sia nel cane che nel gatto, ha una lunga emivita e sono necessari 10-15 giorni per raggiungere un livello costante nel sangue; la fenobarbitalemia deve essere mantenuta in un intervallo di 15-45 mcg/ml.

La dose di barbiturico può essere ridotta quando lo si associa alla somministrazione di bromuro di potassio in quanto potenzia l’effetto del fenobarbitale senza gravare sulla funzionalità epatica poichè è escreto per via renale; possiede una lunga emivita lunga e sono necessari 120 giorni per raggiungere un livello costante ematico.

Altri anticonvulsivanti utilizzati sono il gabapentin, il pregabalin e la zonisamide.

UN INCUBO CHIAMATO GIARDIA!

UN INCUBO CHIAMATO GIARDIA!

La Giardia è un parassita intestinale estremamente diffuso. Può infestare l’intestino sia del cane che del gatto, determinando sintomi più o meno evidenti, anche gravi.

La giardiasi è una parassitosi causata dal flagellato intestinale Giardia duodenalis, protozoo cosmopolita di numerose specie di mammiferi, sia domestici (cane, gatto, ovini, bovini, ecc.) che selvatici. 

La Giardia ha due forme biologiche, il trofozoite, che vive nell’intestino dell’ospite nutrendosi e riproducendosi asessualmente, e la cisti, che viene emessa con le feci dell’ospite ed è necessaria per la trasmissione del parassita.

La trasmissione della Giardia è di tipo oro-fecale, dovuta alle cisti del parassita che, emesse con le feci dell’ospite, rimangono vitali nell’ambiente per lungo tempo, in attesa di essere ingerite da un nuovo ospite. 

Il contagio può avvenire per contatto diretto con un ospite infetto (cisti possono essere presenti sulle mani di una persona o sul pelo di un cane) o con l’ambiente da esso frequentato e contaminato (es. il suolo di un giardino in cui viva un cane infetto), o per ingestione di cisti presenti nelle acque o su alimenti di origine vegetale utilizzati crudi.

Essendo Giardia duodenalis in grado di parassitare numerose specie di mammiferi, la trasmissione zoonotica tra animali ed uomo è possibile. Tuttavia gli animali domestici come cani, gatti e bovini sono spesso parassitati da ceppi specie specifici, non in grado di infettare l’uomo. 

I ceppi umani sono invece tutti zoonotici ed in grado di infettare numerose specie di mammiferi (es. cani, gatti, scimmie, ecc.).

L’infezione da Giardia può essere asintomatica, ma generalmente la parassitosi si manifesta con diarrea intermittente, feci particolarmente maleodoranti con muco, vomito, crampi addominali, gonfiore e flatulenza. 

Nel cane sono frequenti casi di infezioni totalmente asintomatiche.

Un animale parassitato può eliminare ogni giorno con le feci migliaia di cisti di Giardia, in grado di rimanere infettive per mesi se si trovano in un ambiente idoneo, come per esempio un giardino ombroso. Le cisti possono essere presenti anche sul pelo del nostro pet. 

La principale misura preventiva nei confronti di un parassita di questo tipo è l’osservanza delle normali norme igieniche: lavare le mani con frequenza, raccogliere le deiezioni e detergere bene l’area perinatale del nostro animale. 

Nel caso in cui la giardiasi sia stata diagnosticata al nostro animale domestico, queste norme devono essere applicate rigorosamente e bisogna prestare la massima attenzione per limitare la fecalizzazione ambientale raccogliendo le deiezioni e detergendo rigorosamente l’area perianale. 

È fondamentale impedire al cane di mangiare le proprie feci e quelle di altri cani.

E’ raccomandato pulire gli ambienti contaminati dalle feci con prodotti disinfettanti.

Giardia duodenalis è uno dei parassiti più frequentemente diagnosticati nei cani, siano essi padronali o di canile. 

Negli ultimi anni la sua diffusione in quest’ospite sembra essere in aumento, tuttavia si potrebbe trattare di un aumento apparente, legato in realtà ad un’accresciuta attenzione dei veterinari nei confronti di questo parassita. 

L’alta fecalizzazione ambientale tipica dei canili e la coprofagia di alcuni cani favoriscono senz’altro la trasmissione e la diffusione di questo protozoo. 

I cani sono per lo più parassitati da un ceppo specie specifico, ma possono infettarsi anche con i 2 ceppi zoonotici A e B. 

I casi di giardiasi nel gatto sono molto più rari, fondamentalmente grazie all’innata “pulizia” di quest’ospite.

La giardiasi nel cane deve essere sospettata in caso di diarrea, anche intermittente, particolarmente maleodorante. 

La sintomatologia è di solito più grave nei cuccioli ed in generale in quei soggetti il cui sistema immunitario è compromesso (Es. animali debilitati, anziani e in quelli che soffrono di altre patologie concomitanti).

La diagnosi si effettua con un esame a fresco o con un test ELISA su campioni di feci, in grado  di mettere in evidenza gli antigeni presenti in esse.

Esistono dei farmaci specifici, prescrivibili eventualmente dal Medico Veterinario, in grado di debellare l’infestazione. La ricomparsa del parassita è frequente, nonostante il loro utilizzo.

La somministrazione di prebiotici e probiotici per nutrire i microorganismi intestinali è un validissimo supporto terapeutico.

Debellare questo parassita può non essere semplice, a causa della sempre maggior frequenza di ceppi resistenti ai più comuni farmaci. 

In generale, può non essere sufficiente un unico ciclo di trattamento ed è altamente consigliato un controllo post trattamento, per verificare se il parassita sia stato effettivamente eliminato.

Il mastocitoma nel cane e nel gatto

Il mastocitoma nel cane e nel gatto

Il mastocitoma (MCT) è il tumore più comune della cute del cane e origina dai mastociti, cellule responsabili delle reazioni allergiche e infiammatorie.

I mastociti contengono al loro interno delle sostanze, in particolare l’istamina, che possono essere responsabili di complicanze locali (eritema, prurito, gonfiore) e sistemiche (vomito, diarrea, shock anafilattico).

Il comportamento biologico o grado di malignità di questi tumori è altamente variabile in base alla specie, al sito di insorgenza ed alla presenza di metastasi.

La presentazione clinica di tale tumore è molto variabile.

In alcuni casi, il mastocitoma può presentarsi sotto forma di un singolo nodulo cutaneo o sottocutaneo con la tendenza ad ingrandirsi o a scomparire.

Altre volte è possibile notare sulla cute un’area più o meno estesa ed eritematosa (segno di Darier).

Ancor più difficile è sospettare la presenza di questa patologia quando vi sia il coinvolgimento degli organi interni in assenza di segni clinici.

I MCT possono avere un comportamento benigno, rimanendo invariati nel corso dei mesi/anni, così come un decorso clinico aggressivo a crescita locale e diffusione metastatica rapida.

I siti principali di metastasi sono rappresentati dai linfonodi regionali, seguiti poi da fegato e milza.

Qualsiasi neoformazione sospetta o nuova lesione cutanea che mostra la tendenza alla crescita ed al cambio di forma riscontrata sul nostro animale deve essere sempre indagata mediante visita clinica ed esame citologico.

La citologia del mastocitoma è infatti una tecnica di campionamento non invasiva e priva di effetti collaterali che, la maggior parte delle volte, può condurre rapidamente ad una diagnosi certa.

 

Il mastocitoma nel cane

Sebbene sia in grado di colpire soggetti di qualunque razza od incrocio, in particolare i soggetti di età media di 8-10 anni, esistono razze predisposte, in particolare:

Boxer

Shar-pei

Carlino

Bulldog francese

Bulldog inglese

Labrador

Beagle

Rhodesian ridgeback

Schanauzer

Bull terrier

Boston terrier

Canine Mast Cell Tumours

Il mastocitoma può comparire ovunque sulla superficie corporea, sia in forma singola che in forma multipla disseminata.

Nel cane il mastocitoma rappresenta il 7-25 % dei tumori cutanei.

Le sedi metastatiche più comunemente interessate in questa forma tumorale sono il linfonodo regionale, la milza ed il fegato, per ultimo i polmoni.

La forma viscerale, in questa specie, è quasi sempre conseguenza di disseminazione metastatica a partire da un mastocitoma cutaneo indifferenziato.

Oltre ai segni diretti causati da questa neoplasia, possono essere osservati segni indiretti o meglio conosciuti come paraneoplastici secondari alla presenza del mastocitoma.

Tra questi ricordiamo le ulcere del tratto gastroduodenale  provocate dal rilascio di istamina  e il ritardo della coagulazione a causa del rilascio di eparina da parte dei mastociti.

I pazienti affetti potranno dunque presentare, oltre alla neoplasia macroscopica, anche i seguenti segni clinici:

Vomito

Anoressia

Perdita di peso

Diarrea

Melena

Ulcere diffuse.

 

Il mastocitoma nel gatto:

Nel gatto il mastocitoma può presentarsi in 3 diverse ed importanti forme:

cutaneo

splenico

viscerale.

La forma cutanea nel gatto rappresenta il secondo tumore più frequente riscontrato a questo livello.

Esso può presentarsi come una piccola lesione nodulare chiara ed alopecica con localizzazione più frequente a testa o collo o, più raramente, come lesioni multiple.

Feline Cutaneous Mast Cell Tumors

Il mastocitoma cutaneo in questa specie si divide in due forme separate: una forma mastocitica (ben differenziata e anaplastica) ed una forma istiocitica.

E’ tendenzialmente benigno ma, esistendo, seppur rare delle forme anaplastiche con carattere metastatico, la stadiazione  e la successiva escissione chirurgica è tutt’oggi consigliata come prima scelta.

La forma splenica rappresenta, nel gatto, il tumore più frequentemente riscontrato a livello della milza.

Esso colpisce gatti adulti senza predisposizione di razza.

Gli animali affetti presentano marcata splenomegalia e sintomi aspecifici come anoressia, abbattimento, perdita di peso, ecc.

Il tasso metastatico ai linfonodi ed agli altri organi è piuttosto elevato, motivo per il quale, dopo stadiazione negativa, la terapia d’elezione prevede la splenectomia.

La forma intestinale, infine, rappresenta il terzo tumore più comune nel gatto in questo distretto.

Esso si presenta come una massa nodulare extraluminale più frequentemente a carico del piccolo intestino.

I proprietari spesso riferiscono dimagrimentodiarrea costante e/o intermittente e vomito.

Alla visita clinica, in particolare alla palpazione addominale, viene spesso percepita una massa.

Questa forma tumorale è molto aggressiva ed altamente metastatica ai linfonodi meseraici e fegato ed anche in questo caso la terapia d’elezione, quando possibile, è chirurgica e spesso accompagnata da chemioterapia adiuvante.

 

La diagnosi di mastocitoma

Come già accennato, il mastocitoma può essere diagnosticato mediante esame citologico oppure mediante esame istologico, riservato ad alcune forme particolari.

Una volta diagnosticato, fondamentale per la pianificazione dell’approccio terapeutico è la stadiazione

Per ottenere la stadiazione devono essere associati diversi tipi di indagine:

esami del sangue (emocromo, biochimico, esame urine, striscio e lettura del buffy-coat)

campionamento linfonodale

diagnostica per immagini (esame ecografico dell’addome con campionamento citologico di fegato e milza ed esame radiografico del torace per escludere metastasi a questi distretti.)

 

Approccio terapeutico

La scelta dell’approccio terapeutico può variare moltissimo in base allo stadio clinico.

Laddove possibile, fino al secondo stadio, la chirurgia risulta la prima scelta, accompagnata successivamente o meno da chemioterapia in base al grado istologico.

Nel terzo stadio, in assenza di coinvolgimento metastatico, la scelta potrebbe ricadere sulla radioterapia o sull’elettrochemioterapia.

La chemioterapia è una pratica innovativa che vede l’associazione di impulsi elettrici con la somministrazione di un farmaco chemioterapico con lo scopo di ridurre gli effetti collaterali sistemici legati alla chemioterapia ma anche quello di potenziare gli effetti citotossici e curativi a livello della regione da trattare.

L’elettrochemioterapia è una tecnica rapida, efficace  e poco invasiva.

La chemioterapia rimane comunque una valida alternativa terapeutica, anche in presenza di fattori prognostici negativi, essendo questo tumore altamente chemioresponsivo.

Esiste, inoltre, un medicinale antitumorale veterinario (tigilanolo tiglato) che può essere usato nei cani per trattare mastocitomi che non possono essere rimossi chirurgicamente e che non si sono diffusi in altre parti dell’organismo.

L’ INSUFFICIENZA MITRALICA NEL CANE

L’ INSUFFICIENZA MITRALICA NEL CANE

L’insufficienza mitralica dovuta a degenerazione mixomatosa della valvola mitrale, o degenerazione valvolare cronica è la patologia cardiaca acquisita più comune nei cani.

La valvola mitrale è posta tra l’atrio e il ventricolo sinistro. La malattia è caratterizzata da una progressiva degenerazione che deforma i lembi valvolari, impedendone la normale chiusura (insufficienza valvolare). Questo determina il reflusso di una quota di sangue in atrio sinistro (rigurgito mitralico).

Il soffio cardiaco auscultato durante la visita clinica nei pazienti con insufficienza mitralica non è altro che il rigurgito di questa porzione di sangue in atrio sinistro.

La gravità della patologia dipende dalla gravità delle lesioni valvolari e dal grado di insufficienza che ne deriva.

 

Prolasso della valvola mitrale: sintomi, intervento e conseguenze - Farmaco e Cura

 

Generalmente si presenta come una malattia a lenta progressione pur mantenendo una certa variabilità tra un individuo e l’altro. I cani affetti possono tollerare la malattia per anni.

La malattia si riscontra più comunemente nei cani di taglia piccola e media, come Cavalier King Charles Spaniels, Bassotti, Barboncini in miniatura e Yorkshire Terrier, ma i cani di qualsiasi razza possono essere colpiti.

La causa non è attualmente nota, ma è molto probabile che vi sia una predisposizione genetica e una ereditarietà allo sviluppo delle lesioni valvolari.

La diagnosi di questa patologia può essere confermata da un esame ecografico del cuore.

 

 

Una volta rilevata la malattia, la sua progressione può essere monitorata dai veterinari mediante l’esame clinico, ecografico e radiografico.

La maggior parte dei cani con patologia mitralica non presentano sintomi, ma con il progredire verso le fasi più gravi si può rilevare ridotta tolleranza all’esercizio e debolezza. I cani negli stadi più gravi della malattia possono sviluppare edema polmonare (insufficienza cardiaca congestizia/ scompenso cardiaco). L’edema polmonare è dovuto ad un accumulo di liquidi nel polmone e si manifesta con aumento del respiro o difficoltà respiratoria. I cani con segni di insufficienza cardiaca congestizia acuta sono spesso ansiosi e irrequieti durante la notte e nei casi più gravi assumono una posizione sternale e non riescono a coricarsi. Anche la tosse è un riscontro comune anche se non è un sintomo specifico di insufficienza cardiaca. Alcuni cani possono avere perdita transitoria dello stato di coscienza (sincopi). Quando la malattia è molto avanzata, anche il cuore di destra può andare incontro a scompenso con conseguente distensione dell’addome (dovuta all’accumulo di liquido in addome – ascite).

 

TGVET: Edema Polmonare nel Cane

 

La terapia è variabile a seconda della gravità della patologia e suggerita da linee guida alle quali in cardiologi veterinari si attengono.

Il proprietario può monitorare l’efficacia della terapia monitorando la frequenza respiratoria a riposo (normalmente inferiore ai 30 atti respiratoria al minuto).

Esistono anche delle applicazioni per smartphone che possono essere scaricate gratuitamente sul cellulare e possono aiutare nel monitoraggio della frequenza respiratoria a riposo.

La progressione della malattia può essere monitorata con controlli regolari.

L’insufficienza mitralica è una patologia complessa che prevede l’impostazione di una terapia cronica che sarà sempre in evoluzione. I farmaci e i relativi dosaggi dovranno essere regolarmente valutati con attenzione ed eventualmente adeguati nel tempo dallo specialista in base all’ evoluzione della patologia nel singolo paziente, al fine di aumentarne la sopravvivenza e la qualità di vita.

 

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Il forasacco: Un nemico subdolo!

Il forasacco: Un nemico subdolo!

La spiga o “forasacco” è l’arista delle graminacee.

Molte specie di graminacee sono presenti non solo in campi e giardini, ma anche nelle aree urbane e diventano un pericolo subdolo per i nostri animali nel periodo primaverile/estivo.

La particolarità e la pericolosità sono dovute alla caratteristica forma appuntita e lanceolata con presenza di propaggini uncinanti ed apertura “ad ombrello”; grazie a queste peculiarità la spiga si “aggrappa” al pelo dei nostri animali ed arriva alla cute attraverso il pelo, dove riesce facilmente a penetrare nel sottocute.

Oltre alla cute il forasacco può penetrare nei condotti auricolari, nelle cavità nasali, nel cavo orale, nelle congiuntive, negli spazi interdigitali, finanche nell’ apparato genitale.

La particolare disposizione delle appendici consente il movimento della spiga in una sola direzione, così essa può procedere, approfondendosi sempre più, fino a raggiungere le regioni del corpo più disparate, creando danni importanti, fino alla morte dell’animale se non estratta.

 

La sintomatologia dipende, ovviamente, dal sito di localizzazione:

Quando l’arista della graminacea penetra nel condotto auricolare, il sintomo immediato è un forte scuotimento della testa accompagnato, talvolta, da sfregamenti dell’orecchio interessato contro oggetti e/o a terra, oppure da tentativi di grattamento con gli arti; in una seconda fase l’animale tende a tenere il capo in posizione inclinata verso il lato dell’orecchio dolente.

Se il forasacco viene inalato, il sintomo principale è caratterizzato da starnuti persistenti ed intensi, ripetuti sfregamenti del muso e, frequentemente, perdita di sangue da una narice.

Purtroppo l’unico modo che il Medico Veterinario ha per escludere o confermare la presenza del corpo estraneo, e quindi rimuoverlo, è quello di eseguire un’ispezione delle narici in anestesia e con uno specifico strumento: il rinoscopio.

Non meno frequenti sono le penetrazioni nel sacco congiuntivale dell’occhio ( più frequenti nei gatti); a volte la spiga può infilarsi proprio nel bulbo dell’occhio, più spesso all’ interno della palpebra.

In questo caso ci sarà una lacrimazione anomala ed il cane avrà la tendenza a grattarsi con insistenza.
L’occhio sarà tenuto chiuso o semichiuso.

Spesso molti forasacchi si localizzano nel pelo a contatto con la cute, specialmente nello spazio interdigitale e in quest’ultimo caso potrebbe presentarsi una zoppia di vario grado o un leccamento ossessivo della parte.

Una menzione a parte merita la localizzazione bronchiale, forse la più temuta: i vegetali, in questo caso, vengono introdotti attraverso il cavo orale e, attraversata la trachea, si incastrano tra le pareti di un bronco. Qui creano una grave infezione delle vie respiratorie fino a causare degli ascessi.
Con il passare del tempo possono addirittura arrivare a bucare il tessuto polmonare e migrare in altri distretti, causando ulteriori infezioni e rendendo difficoltosa la sua rimozione.

Il sintomo classico è la tosse, intensa e persistente.

Durante i periodi a rischio il miglior metodo è quello di evitare che il proprio amico scorrazzi là dove sono presenti le spighe, ma spesso non è possibile, in quanto essendo un’erba infestante, la si trova praticamente ovunque.

Per prevenire danni da forasacchi è buona norma spazzolare immediatamente dopo la passeggiata il nostro animale, concentrandosi soprattutto nella parte inferiore.

E’ utilissimo controllare bene le zampe in mezzo alle dita, procedura che risulta più semplice se il pelo viene tenuto corto in questa parte. Non dimenticare però di ispezionare la regione ascellare, perioculare e genitale.

E’ bene controllare le orecchie, a maggior ragione nei cani con orecchie lunghe e pendule, è possibile acquistare degli specifici “paraorecchi” che limitano la possibilità di penetrazione delle spighe.

Passeggiare con i nostri amici pelosi è bellissimo, ma è importante anche in questi momenti di svago prestare molta attenzione ed una coccola in più al rientro in casa può salvare la vita!

Animali ed allergia

Animali ed allergia

La dermatite atopica è una malattia cutanea infiammatoria e pruriginosa in cui le caratteristiche cliniche sono comunemente associate alla presenza di IgE (un tipo di anticorpi) dirette contro gli allergeni ambientali.

Gli allergeni associati con maggiore frequenza a reazioni allergiche o di ipersensibilità sono pollini, acari ambientali, alimenti, farmaci e altri composti chimici che possono agire da allergeni.

Le vie attraverso le quali un animale entra in contatto con tali agenti sono quella transcutanea, digestiva e inalatoria.

Nel caso della dermatite atopica esiste una predisposizione genetica verso la malattia ed è necessario un contatto ripetuto con gli allergeni coinvolti.

Quali sono i sintomi più comuni?

Senza dubbio, il sintomo più caratteristico è il prurito intenso. In secondo luogo, l’animale presenta lesioni, infezioni secondarie o perdita di pelo.

Le lesioni possono comparire su viso, parte ventrale del collo, ascelle, inguine, addome e superfici dorsali e ventrali delle zampe. In molti casi, l’otite esterna può essere l’unico segno clinico evidente.

Quali sono le allergie più comuni note?

  • Dermatite allergica da pulci (DAP):
    è l’allergia più comune nei cani. Il problema può essere risolto solo mediante un controllo rigoroso delle pulci, sia sull’animale che nell’ambiente in cui vive.
  • Dermatite atopica:
    con questo nome si designa l’allergia causata da allergeni ambientali, come pollini o acari. La dermatite atopica del cane (DAC) è una sindrome complessa e multifattoriale, in cui la genetica dell’individuo e il suo rapporto con gli allergeni coinvolti rivestono un ruolo fondamentale.
    La sintomatologia compare generalmente tra i 6 mesi e i 3 anni di vita. Solitamente gli animali colpiti presentano prurito su viso, parte ventrale del collo, ascelle, inguine, addome e superficie dorsale e ventrale degli arti distali. In molti casi, l’otite esterna può esserne l’unico segno clinico.
  • Allergia alimentare (reazione avversa all’alimento):
    alcuni componenti della dieta alimentare possono essere la causa della condizione allergica del paziente, nel quale si possono osservare segni digestivi concomitanti. L’eliminazione dalla dieta dell’alimento o dell’ingrediente dannoso è l’unico modo per evitare i sintomi.

 

ALLERGIA AGLI ACARI

Gli acari sono piccoli artropodi della famiglia dalla zecca e del ragno di dimensioni inferiori a 0,3 mm. In particolare, gli acari responsabili del maggior numero di allergie sono quelli della polvere (Dermatophagus pteronyssinus e Dermatophagoides farinae) e quelli delle derrate alimentari (Tyrophagus putrescentiae, Lepidoglyphus destructor e Acarus siro).

Acari della polvere

Gli acari della polvere prendono il nome dalla loro fonte di cibo preferita: le squame cutanee (“dermato” = “pelle” e “phagos” = “mangiare”, da cui “mangiatori di pelle”). Le condizioni del loro habitat sono di solito temperatura pari a 20ºC e umidità relativa superiore al 70%. Si trovano in cuscini, materassi e tappeti domestici. La concentrazione nelle case di acari della polvere aumenta durante i periodi di cambio di stagione (primavera, autunno) caratterizzati da precipitazioni e temperature miti, e di solito diminuisce durante l’estate (clima secco e caldo) e l’inverno (clima freddo e secco). Gli allergeni degli acari più frequentemente responsabili di allergie si trovano sia nel loro corpo che nelle loro feci.

Acari delle derrate alimentari

Gli acari delle derrate alimentari si trovano molto comunemente negli alimenti secchi conservati (mangimi secchi, cereali, legumi, semi, frutta) e, soprattutto, negli alimenti ricchi di grassi e proteine. All’interno delle case è possibile trovarli soprattutto in cucina e in bagno, in quanto traggono beneficio dall’umidità.

Consigli per ridurre l’esposizione domestica agli acari

  • Eliminare dalla casa tappeti o moquette, soprattutto dalla cuccia dell’animale, o utilizzare tappeti lavabili di piccole dimensioni.
  • Sostituire con materiali sintetici il materiale della cuccia se contiene lana, cotone, crine o piume.
  • Lavare la biancheria della cuccia dell’animale con acqua calda (>60ºC) ogni 15 giorni.
  • Areare la casa ogni giorno e passare almeno una volta alla settimana l’aspirapolvere nella zona in cui dorme l’animale.
  • Nella routine di pulizia quotidiana della casa è possibile aggiungere un ectoparassiticida nel sacchetto dell’aspirapolvere. Utilizzare l’aspirapolvere quando l’animale non è presente.
  • Utilizzare prodotti acaricidi ogni 3 mesi nei luoghi della casa accessibili all’animale.
  • Tenere il cibo fresco e asciutto, lontano da zone umide, ed evitare l’ingresso di acqua nel piatto dell’animale.
  • Evitare la contaminazione del mangime secco con acari delle derrate alimentari sostituendo frequentemente i sacchi di mangime ed esponendoli il meno possibile ad umidità elevata.
  • Fare il bagno all’animale, in quanto ciò aiuta ad eliminare gli allergeni depositati sulla pelle.

È importante ricordare che queste misure possono contribuire a ridurre l’esposizione agli acari. Tuttavia, la loro completa eliminazione dall’ambiente è praticamente impossibile.

ALLERGIA AI POLLINI NEGLI ANIMALI

Polline delle graminacee

Le graminacee sono una famiglia molto numerosa di piante che crescono non solo su praterie e pascoli, ma anche in aree detritiche, su suoli coltivati o abbandonati o lungo il ciglio della strada; vale a dire, quasi ovunque, dal livello del mare alle zone montuose. Le graminacee si trovano generalmente in qualsiasi giardino e sono responsabili della maggior parte delle allergie polliniche.

Sebbene la massima impollinazione avvenga nei mesi di aprile, maggio e giugno, nel nostro paese è possibile rilevare i pollini delle graminacee 10 mesi all’anno. Esiste una notevole correlazione tra il clima e l’impollinazione delle graminacee. Infatti, se le piogge sono abbondanti, la concentrazione di polline in primavera è maggiore.

Polline delle erbe infestanti

Le erbe infestanti, o erbacce, sono un tipo di piante che crescono su banchi di sabbia, in pianura, lungo il ciglio della strada e sul bordo di campi coltivati. La massima impollinazione della maggior parte delle piante appartenenti a questo gruppo avviene in estate, benché ci siano eccezioni; la parietaria, ad esempio, oltre ad essere la specie responsabile della maggior parte delle allergie, ha un lungo periodo di impollinazione (da marzo a ottobre).

Polline degli alberi

Generalmente il periodo di impollinazione degli alberi è breve, pertanto i pazienti presentano di solito manifestazioni cliniche solo per brevi periodi di tempo.

L’impollinazione avviene prima, durante o subito dopo la comparsa delle foglie, per cui nei climi temperati l’impollinazione termina quasi alla fine della primavera, quando gli alberi sono pieni di foglie. Tra gli alberi con i pollini più allergenici spiccano l’olivo e il salice.

 

Raccomandazioni per ridurre l’esposizione ai pollini

  • Durante la stagione dell’impollinazione, evitare di portare l’animale domestico in aree con abbondante vegetazione, soprattutto nelle prime e ultime ore del giorno.
  • Areare la casa durante le ore centrali del giorno o di sera.
  • Evitare situazioni di elevata esposizione ai pollini, come falciare il prato in presenza dell’animale. Evitare di accedere a luoghi con sovraccarichi di polline, come i fienili.
  • Quando si viaggia in auto, tenere chiusi i finestrini.
  • Evitare di fare giri in campagna e attraversare parchi e aree verdi nei periodi di maggiore esposizione, soprattutto nelle giornate secche, calde e molto ventose.
  • Fare il bagno all’animale, in quanto ciò aiuta ad eliminare gli allergeni depositati sulla pelle.

REAZIONI AVVERSE AGLI ALIMENTI NEGLI ANIMALI

Le reazioni di intolleranza alimentare comprendono qualsiasi risposta anomala non immunologica a un alimento e includono tossicità, reazioni idiosincratiche, reazioni farmacologiche e reazioni metaboliche. La dermatite allergica indotta da alimenti (DAIA) è definita come una reazione immunitaria esagerata e anomala ad un alimento, indipendente dall’effetto fisiologico dei suoi componenti.

La difficoltà di differenziare le reazioni puramente allergiche dalle reazioni di intolleranza alimentare porta ad inglobare tutte queste reazioni sotto il nome comune di “reazioni avverse agli alimenti”. Le reazioni avverse agli alimenti sono di origine non immunologica. La maggior parte dei cani e gatti con DAIA presentano manifestazioni cutanee accompagnate o meno da segni digestivi, sebbene la via d’ingresso dell’allergene sia quella intestinale. Non è molto chiaro perché alcuni cani e gatti presentino segni cutanei, altri segni gastrointestinali e altri una combinazione di entrambi. Esistono diverse ipotesi al riguardo.

Segni clinici

La dermatite allergica indotta da alimenti (DAIA) è l’allergia con la manifestazione più precoce. Infatti, nel 48% degli animali i segni clinici insorgono prima dell’anno di età. I segni clinici della DAIA sono prurito non stagionale e lesioni associate alla gravità del prurito o allo sviluppo di frequenti infezioni secondarie. La presenza di prurito nelle orecchie e nell’area perianale è molto caratteristica della DAIA, e nei pastori tedeschi è stata osservata una correlazione significativa tra la DAIA e la presenza concomitante di otite e fistole perianali. La prevalenza dell’otite durante il decorso della DAIA è molto elevata, con comparsa in fino all’80% dei casi, nel 24% dei quali essa può essere l’unica manifestazione clinica. Il quadro clinico di un’allergia alimentare può essere molto simile a quello di una dermatite atopica, in quanto tale patologia presenta gli stessi segni clinici e interessa le stesse aree (viso, padiglioni auricolari, ascelle, area inguinale e addome), rendendo impossibile distinguere tra le due condizioni in base alla sintomatologia clinica dell’animale. D’altro canto, è stato dimostrato che esiste una correlazione significativa tra le due condizioni; infatti, secondo i diversi studi condotti, dal 3 al 30% degli animali soffre di entrambe le allergie.

Nel caso dei felini, la presentazione clinica può consistere in prurito non stagionale generalizzato, lesioni del complesso del granuloma eosinofilo, prurito alla testa e al collo, dermatite miliare, alopecia autoindotta, dermatite esfoliativa e, in alcuni casi, angioedema e orticaria.

Diagnosi

L’unico test efficace e valido per la diagnosi delle reazioni avverse agli alimenti è rappresentato da una dieta di eliminazione della durata di 8 settimane con controllo della scomparsa dei segni clinici in tale lasso di tempo. La diagnosi sarà eseguita a seguito della ricomparsa dei segni clinici dopo l’esposizione dell’animale agli alimenti che assumeva in precedenza e alla loro scomparsa a seguito del ritorno alla dieta ipoallergenica.

A livello di analisi di laboratorio, analizzando un campione di sangue è possibile stabilire se l’animale presenta anticorpi contro allergeni di origine animale o vegetale. Occorre però menzionare che l’interpretazione dei test ha un valore più che altro predittivo; i risultati negativi si aggirano intorno all’80%.

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Come viene diagnosticata l’allergia negli animali

La diagnosi della DAC si basa su un corretto protocollo diagnostico nell’ambito del quale devono sempre essere escluse le cause più comuni di prurito nei cani, come l’ectoparassitosi o le infezioni batteriche o fungine.

Purtroppo non è sempre possibile dimostrare la presenza di IgE mirate agli allergeni ambientali.

Analizzando un campione di sangue è possibile stabilire se l’animale presenta anticorpi contro la saliva delle pulci, contro agenti patogeni microscopici come Malassezia o contro allergeni ambientali.

Nel caso dell’allergia alimentare, il modo migliore per escluderla/diagnosticarla è mediante una dieta di esclusione o eliminazione della durata di almeno 8 settimane. Tale dieta dovrebbe basarsi su proteine nuove per l’animale o su alimenti commerciali altamente idrolizzati. I test di allergia alimentare sono utilizzati per stabilire quali alimenti occorre evitare di includere nella dieta di eliminazione.

Da tempo sono disponibili alcuni criteri diagnostici che i medici possono utilizzare per identificare i casi dermatologici suscettibili di essere una DAC. Uno studio di Favrot et al. ha dimostrato che, se vengono applicati 5 degli 8 criteri clinici riportati di seguito, è possibile diagnosticare la DAC con una sensibilità dell’85% e una specificità del 79% e differenziarla da altre malattie associate a prurito ricorrente o cronico.

Criteri di Favrot

Criteri diagnostici per la dermatite atopica del cane (almeno 5 confermati)

  1. Comparsa dei segni prima dei 3 anni di vita
  2. Cane che vive principalmente in ambienti interni
  3. Prurito che risponde ai glucocorticoidi
  4. Prurito sine materia nella fase iniziale (es. prurito primario/senza lesioni)
  5. Interessamento delle zampe anteriori
  6. Interessamento dei padiglioni auricolari
  7. Margini auricolari non interessati
  8. Area dorso-lombare non interessata

È disponibile un trattamento per il controllo dell’allergia?

L’allergia può essere controllata fino a far sì che l’animale non sia sintomatico, vale a dire, che non si gratti. Nel caso delle reazioni avverse a un alimento e dell’allergia al morso di pulce, il trattamento consiste nell’evitare gli allergeni (gli ingredienti coinvolti nel quadro clinico e la presenza di pulci, sia sull’animale che nell’ambiente in cui vive).

Nel caso della dermatite atopica del cane (DAC) è impossibile mantenere uno stretto controllo della presenza degli allergeni ambientali coinvolti, pertanto occorre ricorrere a terapie farmacologiche o all’uso dell’immunoterapia. L’immunoterapia dovrà essere considerata il trattamento di scelta per il controllo della DAC.

Grazie a Letiph.

SCOPRIAMO L’IPOTIROIDISMO

SCOPRIAMO L’IPOTIROIDISMO

Anche i nostri amici a quattro zampe possono soffrire di ipotiroidismo.

L’ipotiroidismo è una patologia caratterizzata da una diminuita funzionalità della ghiandola tiroidea, che porta alla diminuzione dei livelli ematici degli ormoni tiroidei triiodotironina (T3) e tiroxina (T4). Gli ormoni tiroidei sono fondamentali per la regolazione del metabolismo dell’organismo.

L’ipotiroidismo colpisce generalmente cani adulti e anziani, anche se in alcune razze (es. dobermann, golden retriever, labrador retriever) può manifestarsi precocemente. E’ un disturbo che colpisce, invece, molto raramente i gatti.

L’ipotiroidismo può essere acquisito oppure congenito.

L’ipotiroidismo congenito è raro nei nostri animali. Alla visita clinica i cuccioli ipotiroidei sono più piccoli (nanismo) poiché lo sviluppo scheletrico è rallentato, possono apparire più stanchi poiché l’attività mentale è anch’essa rallentata e possono presentare aree prive di pelo.

L’ipotiroidismo acquisito è distinto in primario, secondario e terziario, a seconda della localizzazione del disturbo.

Si parla di ipotiroidismo primario nel caso in cui sia la tiroide ad essere affetta da un processo patologico che ne pregiudica la funzionalità; in questo caso le forme più comuni sono le tiroiditi linfocitarie e le atrofie tiroidee.

Le forme secondarie interessano l’ipofisi (la ghiandola che produce la tireotropina o TSH che stimola la tiroide a produrre gli ormoni tiroidei), caratterizzate da una carenza di TSH e quelle terziarie sono caratterizzare da una carenza di TRH (ormone di rilascio della tireotropina, prodotto dall’ipotalamo).

Le forme secondarie sono state raramente descritte e quelle terziarie non sono mai state descritte nel cane.

 

I segni clinici più frequenti sono ottundimento mentale, letargia, aumento del peso (anche se l’appetito rimane normale o addirittura è ridotto), intolleranza al freddo e riluttanza all’ esercizio fisico.

Circa l’80% dei cani ipotiroidei presenta alterazioni dermatologiche quali alopecia, seborrea, ipercheratosi, iperpigmentazione, otiti recidivanti, dermatiti recidivanti.

Meno frequenti sono i disturbi neurologici (quali paralisi laringea, megaesofago, cambiamenti del comportamento), le alterazioni oculari (quali depositi di colesterolo corneale, lipemia della camera anteriore), i disturbi della riproduzione ed i problemi cardiaci.

La malattia ha una progressione piuttosto lenta e le varie problematiche vengono spesso interpretate come conseguenze del normale processo di invecchiamento fisiologico.

 

Prima di effettuare i test per la valutazione della funzione tiroidea è necessario escludere con certezza patologie non tiroidee ed effettuare un’anamnesi farmacologica molto accurata perché le concentrazioni degli ormoni tiroidei e i livelli di tireotropina sono influenzati da numerosi farmaci.

I primi test da effettuare sono un emocromo completo, un profilo biochimico e un esame delle urine.

I risultati di questi esami possono suggerire, anche se non darne la certezza, la presenza di ipotiroidismo. In genere si riscontrano una lieve anemia, un aumento di grado variabile del colesterolo e dei trigliceridi, aumento dei livelli di fruttosamine (anche con glicemia normale).

Gli ormoni che possono essere quantificati nel sangue sono il T4 totale e libero, il T3 totale, il TSH basale.
La misurazione del T4 totale è altamente sensibile ma relativamente specifica. Pertanto, un risultato normale ci consente di escludere con buona sicurezza l’ipotiroidismo mentre un valore più basso del normale potrebbe osservarsi sia nei cani ipotiroidei che nei cani affetti da malattie diverse. Molte malattie non tiroidee possono infatti ridurre la concentrazione di T4 totale.
La misurazione del T4 libero è altamente sensibile e molto specifica; un risultato normale ci consente, quindi, di escludere con buona sicurezza l’ipotiroidismo ed un valore più basso del normale è più facilmente dovuto all’ipotiroidismo. In altre parole, diversamente dal T4 totale, le malattie non tiroidee non tendono a ridurre la concentrazione di T4 libero. Il T4 libero rappresenta il singolo test più accurato per diagnosticare l’ipotiroidismo nel cane.
La misurazione del T3 totale è poco accurata in quanto si osservano valori fluttuanti anche nei cani sani.
La misurazione del TSH è moderatamente sensibile e molto specifica. Molti cani ipotiroidei possono avere il TSH normale.
Il quadro tipico di un cane affetto da ipotiroidismo (primario) è caratterizzato da valori di T4 totale e libero più bassi del normale e di TSH più elevati.
L’esecuzione di ecografie, scintigrafie e biopsie della tiroide e la misurazione degli anticorpi anti-T3, anti-T4 e anti-tireoglobulina possono essere di ulteriore ausilio diagnostico nei casi più complessi. Questi ultimi test, essendo piuttosto costosi, vengono richiesti soltanto se i risultati degli altri test sono considerati inconcludenti.

Un aspetto che complica l’interpretazione dei risultati è che in alcune razze gli intervalli di riferimento di normalità sono diversi da quelli della popolazione canina generale. In particolare è stato segnalato che alcune razze, come i Levrieri, hanno il TT4 molto più basso delle altre razze, pur essendo assolutamente eutiroidei.

 

La terapia dell’ipotiroidismo prevede la somministrazione orale quotidiana di levotiroxina sodica (un analogo sintetico del T4). Il migliore indicatore del successo della terapia è rappresentato dalla risoluzione della sintomatologia clinica e delle alterazioni osservate negli esami del sangue, nonché dalla normalizzazione degli ormoni tiroidei (T4 totale).

Il monitoraggio dei cani ipotiroidei prevede inizialmente controlli ogni 4-8 settimane; successivamente, se il cane ipotiroideo è clinicamente stabile, i controlli sono effettuati ogni 6 mesi.

 

Una volta iniziata la terapia, le condizioni generali del cane migliorano nel giro di un paio di settimane; occorrono invece tempi più lunghi per un miglioramento delle condizioni dermatologiche e neurologiche.

 

La prognosi nella maggior parte dei cani ipotiroidei è buona se la terapia è somministrata correttamente.

La prognosi può essere invece riservata nei cani ipotiroidei non trattati, se la diagnosi è tardiva. I cani non trattati per lungo tempo possono presentare alterazioni importanti con abbattimento, riduzione della temperatura corporea, pressione sistemica e frequenza cardiaca, con mixedema (accumulo di liquidi nel sottocute, soprattutto della testa), fino al coma ed al decesso.

 

E’ importante quindi includere il profilo tiroideo nei check up dei pazienti dai sette anni in su.

IL COLPO DI CALORE: L’IMPORTANZA DELLA TEMPESTIVITA’

IL COLPO DI CALORE: L’IMPORTANZA DELLA TEMPESTIVITA’

Il colpo di calore è un’emergenza acuta e potenzialmente letale caratterizzata da un aumento della temperatura corporea che esita in un danno diretto dei tessuti dell’organismo.

Il disordine si verifica con maggiore frequenza durante l’estate, in genere dopo un esercizio fisico o in seguito al confinamento in un’area chiusa con scarsa ventilazione, come l’interno di un’automobile.

Anche se la sua fisiopatologia è complessa, lo stato fisiologico viene scatenato da alterazioni delle normali funzioni di raffreddamento che esitano nell’ incapacità dell’organismo di dissipare adeguatamente il calore.

Il colpo di calore va preso in considerazione in tutti gli animali che presentano una temperatura corporea interna superiore a 41 °C e un’anamnesi compatibile con un’esposizione ambientale, dopo aver escluso le altre cause di ipertermia. Tuttavia, va evidenziato che alcuni soggetti possono presentare al momento dell’esame una temperatura normale o persino subnormale; ciò si verifica in particolare nelle razze brachicefale (in cui è sufficiente una temperatura inferiore per scatenare il colpo di calore), o se l’animale si trova in un avanzato stato di shock.

Il segno clinico più comune negli animali con colpo di calore è l’eccessivo aumento della frequenza respiratoria, la cavità orale e le mucose sono di solito appiccicose a causa della respirazione affannosa e dell’estrema disidratazione.

Le mucose possono apparire scure o molto cariche per la vasodilatazione sistemica.

I soggetti possono presentare incoordinazione, perdita di coscienza, cecità, crisi convulsive o persino coma.

Gli animali con edema cerebrale possono apparire inizialmente intontiti e progredire verso la comparsa di barcollamento involontario, tremori e ottundimento. Si può avere anche una diminuzione dei riflessi (ad es., pupilla, cornea). Le mucose o gli occhi possono evidenziare un ittero dovuto ad un’imponente distruzione dei globuli rossi o disfunzione epatica.

Negli stadi terminali del colpo di calore, è possibile osservare respirazione superficiale ed apnea da disfunzione neurologica.

Le mucose, i padiglioni auricolari e la vulva possono rivelare ecchimosi, che indicano la possibile presenza di alterazioni della coagulazione.

Di solito è presente un aumento della frequenza cardiaca con polso debole dovuto all’ estrema ipovolemia.

L’animale può presentare diarrea emorragica o feci molto scure e può essere presente un’urina scura, “color Coca Cola”.

I soggetti con colpo di calore, generalmente, si rifiutano di alzarsi o non ci riescono.

 

Esistono alcune patologie che impediscono un’appropriata dissipazione del calore, come la paralisi laringea o le affezioni delle vie aeree superiori, del sistema neurologico o di quello cardiovascolare.

All’ inspirazione si possono osservare forti rumori respiratori, che indicano difetti anatomici sottostanti o malattie delle prime vie aeree.

Lo scopo primario del trattamento degli animali con colpo di calore è diminuire rapidamente la temperatura corporea quanto basta per prevenire l’ulteriore danneggiamento dei tessuti e degli organi vitali, ma non così rapidamente da causare ipotermia ed indurre l’attivazione dei meccanismi di produzione del calore.

Inoltre, il rapido raffreddamento superficiale può determinare una vasocostrizione periferica, che inibisce i meccanismi di raffreddamento e determina la deviazione del sangue caldo verso gli organi interni.

Dopo il raffreddamento, si possono sviluppare delle sequele secondarie al colpo di calore che complicano lo stato dell’animale; è essenziale che quest’ultimo sia condotto immediatamente presso il Veterinario e monitorato.

 

Il colpo di calore è un’emergenza medica; quindi i proprietari devono avviare immediatamente il trattamento compiendo alcuni passi per raffreddare progressivamente l’animale per riportarlo alla normale temperatura corporea.

Il proprietario deve sottoporre l’animale ad una docciatura prima di trasportarlo dal Veterinario.

Uno studio ha dimostrato un tasso di mortalità del 49% per i soggetti che non sono stati raffreddati dai proprietari, contro il 19% di quelli che sono stati raffreddati prima di essere trasportati dal veterinario.

La chiave del successo del trattamento e della guarigione dal colpo di calore è la precocità del riconoscimento e della terapia.

I proprietari devono essere consapevoli dei potenziali sviluppi associati al danno permanente di reni, cuore e fegato. Le vittime del colpo di calore possono mostrare deficit neurologici residui e sono probabilmente predisposte a ripetute lesioni da cause termiche in futuro.

 

Al fine di prevenire il colpo di calore, è necessario comprendere i rischi del confinamento o dell’esercizio fisico in ambienti molto caldi.

Per evitare il colpo di calore da sforzo negli animali da lavoro, bisogna programmare gli allenamenti o le competizioni all’ aperto durante le ore più fresche della giornata, se possibile.

È stato dimostrato nell’ uomo che per un acclimatamento parziale ad un ambiente caldo sono necessari da 7 a 21 giorni. Sembra probabile che un analogo arco di tempo sia richiesto anche per i nostri amici animali; tuttavia, in alcuni casi l’acclimatamento completo può richiedere fino a due mesi. Il non corretto acclimatamento può essere la ragione per cui all’ inizio dell’estate viene segnalato un maggior numero di casi di colpo di calore.

Il colpo di calore può essere facilmente prevenuto se si adottano misure capaci di consentire un corretto acclimatamento, una ventilazione adeguata ed il libero accesso all’ ombra e ad acqua da bere fresca.

Per quanto riguarda l’ambiente in cui soggiorna l’animale, è necessario che sia mantenuto ad una temperatura più fresca possibile.

Come prima cosa è bene ventilare ambiente al mattino presto, quando l’aria esterna è ancora fresca, poi chiudere bene le finestre ed oscurare i vetri con l’avvolgibile o le persiane, se durante la giornata ci batte il sole.
Sarebbe bene lasciare a disposizione delle aree prive di tappeti con le superfici fresche come il marmo, mattonelle di ceramica o monocottura, lastre di metallo, che in caso di superfici di parquet possono essere posate sopra.
Riempire le bottiglie PET con acqua, oppure i blocchi per frigobox e congelarle nel freezer, poi infilarle in un calzino o avvolgerli in un panno di microfibra o spugna e distribuirli nell’ambiente posandoli sul pavimento.

Pochi animali si sdraiano attaccati alle bottiglie, ma il vero scopo è quello di rinfrescare l’aria circostante in quanto quando l’aria calda scioglie il ghiaccio si rinfresca ed, essendo l’aria fresca più pesante, si mantiene in basso facendo salire quella calda in alto.
Se l’ambiente è provvisto di un climatizzatore possiamo mantenere la temperatura ambientale mite, ma mai gelata che potrebbe procurare all’ animale problemi di salute specialmente in caso di bruschi sbalzi termici.
Anche il ventilatore va benissimo, ma deve essere usato solo quando l’animale è vigilato; sia nel caso del ventilatore che del  climatizzatore è necessario assicurarsi che il getto d’aria non colpisca mai direttamente l’animale, ma venga direzionato in alto per rinfrescare o smuovere l’aria.

 

Come nell’ uomo, la prognosi del colpo di calore dipende dalla durata e dalla gravità dell’ipertermia, prima che sia instaurato il trattamento. Inoltre, è condizionata dalla presenza o assenza di eventuali malattie sottostanti.

Il rischio di sviluppo di complicazioni potenzialmente letali è notevole; quindi, nella maggior parte dei casi la prognosi è inizialmente riservata.

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