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Vomito, istruzioni per l’uso!

Vomito, istruzioni per l’uso!

Il vomito è uno dei sintomi più comuni nei nostri cani e gatti. 

Vediamo di capire meglio come gestirlo:

II vomito o emesi è l’espulsione rapida attraverso la bocca di materiale gastrointestinale, provocata dalla rapida contrazione involontaria dei muscoli dell’addome, associata ad un’apertura del cardias (lo sfintere attraverso il quale l’esofago sbocca e s’immette nello stomaco) in seguito ad un’onda antiperistaltica che parte da quella parte di piccolo intestino detta digiuno.

Il materiale emesso può essere alimentare o non alimentare.

E’ bene differenziare il vomito dal rigurgito perché quest’ultimo è una risalita del contenuto gastrico nella bocca che avviene senza la contrattura dei muscoli dell’addome e non preceduta da nausea.

Dopo il vomito può venire molta sete, ma finché lo stomaco è infiammato ne conseguiranno ulteriori episodi di vomito. 

E’ bene quindi togliere le ciotole di acqua e cibo per qualche ora dopo il vomito. 

Il vomito è un sintomo molto aspecifico. 

Può essere dovuto a cause riferibili al tratto digestivo:

– Malattie ostruttive, tra cui neoplasie

– Ulcere

– Infezioni, tra cui gastrite, gastroenterite

– Malattie infiammatorie, tra cui colecistite, pancreatite, appendicite, epatite

– Alterazioni della motilità

 

Oppure può essere secondario a cause estranee al sistema digerente:

– Malattie cardiopolmonari

– Alterazioni del sistema sensoriale, tra cui cinetosi, labirintite

– Malattie e disfunzioni cerebrali, tra cui commozione, emorragie, ascessi, idrocefalo, tumori, ipertensione endocranica

– Alterazioni metaboliche, fisiologiche o indotte:

Malattie della tiroide e paratiroidi

Uremia

Chetoacidosi

Insufficienza surrenalica

Ipoglicemia ed iperglicemia

Gravidanza

 

– Assunzione di varie sostanze:

Farmaci, tra cui chemioterapici, analgesici, antibiotici, digossina, oppiacei, gli appositi farmaci emetici

Sostanze tossiche.

Tossine endogene, o di origine microbica prodotte in corso di infezione o introdotte per via alimentare.

 

Dopo il digiuno è possibile somministrare un protettore gastrico (Solo dopo consulto con il Veterinario curante) e poi proporre una dieta molto digeribile e frazionata (piccoli pasti frequenti) per qualche giorno.

Ovviamente è fondamentale individuare la causa scatenante il vomito ed è quindi bene consultare il proprio Veterinario e prenotare una visita tempestiva qualora gli episodi di vomito fossero ripetuti. 

Una causa particolare di vomito può essere la cinetosi ovvero la nausea scatenata dal “mal d’auto”, per prevenire questo malessere è bene abituare sin da piccoli i nostri animali ai viaggi proponendo dei percorsi via via più lunghi (si può partire dalla sosta in auto per qualche minuto, al giro dell’isolato e così via… ).

E’ possibile inoltre ricorre a particolari cerotti allo zenzero da applicare su pettorina/trasportino fino a veri e propri farmaci antinausea dopo essersi consultati con il proprio Medico Veterinario. 

Importantissimo ricordarci che conati di vomito improduttivi (ovvero senza emissione di contenuto gastrico) sono tipici della torsione di stomaco (Vedi: https://www.clinicaveterinariasanmaurizio.it/che-cose-la-torsione-dello-stomaco-e-come-prevenirla/) che è una vera e propria emergenza e che è quindi bene, in caso di comparsa di questo tipo di sintomatologia, di recarci immediatamente dal Veterinario per una visita. 

Crisi convulsive e stato epilettico nel cane e nel gatto

Crisi convulsive e stato epilettico nel cane e nel gatto

Le crisi convulsive sono un’ emergenza molto frequente nei nostri animali; si realizzano quando alcuni neuroni sviluppano una attività anomala a cui sono associate differenti manifestazioni cliniche, dipendenti dall’ estensione e dalla localizzazione dell’area cerebrale coinvolta.

Proprio per il fatto che possono essere interessate diverse aree del sistema nervoso centrale, e quindi manifestare sintomatologie differenti, è difficile descrivere univocamente tutte le crisi convulsive.

L’area del cervello dove si verifica l’attivazione di una popolazione di neuroni viene definito “focus epilettogeno”, l’attività anomala dell’area può generare manifestazioni cliniche differenti in funzione alla dimensione dell’area cerebrale colpita ed all’attività dei neuroni inibitori circostanti, questi ultimi bloccano il propagarsi della scarica elettrica ed il manifestarsi dei sintomi.

Quando questi neuroni sono in grado di inibire la scarica elettrica, il paziente non manifesta segni evidenti di una crisi convulsiva, che è però rilevabile con l’elettroencefalogramma (EEG).

In alcuni pazienti l’equilibrio tra focus epilettogeno e neuroni inibitori può rompersi a seguito di alterazioni  metaboliche quali ad esempio: ipoglicemia, ipossia, squilibri elettrolitici, ipertermia, in questi casi possono manifestarsi i sintomi della crisi convulsiva.

 

 

Le crisi convulsive possono essere distinte in:

  • crisi focali;
  • crisi convulsive parziali (semplici o complesse);
  • crisi convulsive generalizzate.

Le crisi convulsive focali, non sono rilevabili clinicamente, ma alterano l’elettroencefalogramma.

Le crisi convulsive parziali si distinguono in semplici o complesse, sono rilevabili clinicamente come contrazioni di alcuni gruppi muscolari, alterazioni del sensorio con o senza perdita di coscienza e dovute all’attivazione di una piccola area del prosencefalo alterata strutturalmente o di origine idiopatica.

Le semplici sono responsabili di un’attività contratturale della muscolatura scheletrica, mentre le complesse, oltre alla contrazione della muscolatura scheletrica, possono dare origine a crisi generalizzate e sono associate ad alterazioni comportamentali o della coscienza. Entrambe possono colpire un solo lato del paziente indicando così l’area coinvolta.

Le crisi convulsive generalizzate si manifestano con contrazioni della muscolatura scheletrica, perdita della stazione, movimento di pedalamento, dilatazione pupillare, perdita della coscienza, mandibola serrata, possibile scialorrea, perdita di urine e feci.

Le crisi possono durare pochi secondi o minuti; quando le crisi non manifestano segni di recupero, ma persistono (5 minuti o più) si definisce stato epilettico che può produrre lesioni neurologiche e necrosi dei tessuti nervosi. Lo stato epilettico può presentarsi anche come crisi convulsive di lunga durata intervallata da periodi di incoscienza.

Le crisi cosiddette a grappolo o cluster sono crisi convulsive che si ripetono nell’arco di 1-24 ore. Tra una crisi e la successiva il paziente ritorna a uno stato mentale e motorio normale con una fase “post ictale” (Vedi sotto), in alcuni casi il paziente può restare incosciente.

Lo stato epilettico necessita di cure immediate perché può compromettere le funzioni vitali impedendo una normale ventilazione e perfusione tessutale, le crisi convulsive possono talvolta essere gestite con terapie domiciliari.

Nelle crisi convulsive si distingue una fase pre ictale, o pre-crisi, durante la quale è possibile riscontrare alterazioni comportamentali e molto frequentemente agitazione con ricerca del proprietario e può durare da pochi secondi, a ore o addirittura giorni.

La fase ictale corrisponde alla crisi vera e propria con la comparsa della caratteristica sintomatologia.

La fase post ictale ha durata estremamente variabile da pochi minuti ad alcuni giorni può manifestare una sintomatologia molto varia, ad esempio: debolezza, disorientamento, paura, midriasi, cecità di origine centrale transitoria e polifagia.

 

Le cause delle crisi convulsive possono essere classificate in due grandi categorie: intra e extra craniche.

Le extracraniche sono in genere conseguenti a squilibri metabolici o patologie sistemiche che producono alterazioni dello stato elettro-fisiologico del tessuto cerebrale causando più frequentemente crisi convulsive generalizzate.

Possono essere dovute a:

  • accumulo di tossine (ad es. insufficienza epatica e renale);
  • disturbi metabolici (ad es. ipoglicemia, iperlipidemia, ipocalcemia, ipotiroidismo);
  • ipossia;
  • ipertermia;
  • intossicazioni (ad es.: teobromina, caffeina, organofosfati, piombo, stricnina);
  • parassiti intestinali.

Le patologie di origine intracranica, identificate come cause primarie sono:

  • patologie congenite (ad es. malformazioni);
  • neoplasie cerebrali;
  • processi infiammatori (ad es.: encefaliti);
  • degenerazione (ad es. da compromissione vascolare)
  • traumi.

I farmaci d’elezione di primo impiego nella terapia dello stato epilettico sono le benzodiazepine a rapida diffusione nel sistema nervoso centrale quali il diazepam o il midazolam.

Quando non è possibile avere un accesso vascolare è possibile somministrare le benzodiazepine  per via rettale.

I pazienti refrattari alla terapia con le benzodiazepine devono trattati con i barbiturici ( Es. fenobarbitale).

Oltre all’utilizzo di farmaci anticonvulsivanti è necessario controllare la temperatura, di fatto l’attività convulsiva può causare un drammatico aumento della temperatura basale (anche maggiore di 40,5°C).

Nei pazienti ipertermici  è necessario un intervento veterinario rapido. Nel frattempo è possibile bagnare con acqua fresca le estremità degli arti e, se necessario, usare anche un ventilatore, tale procedura deve essere effettuata fino al al raggiungimento dei 39,5°C (oltre può esservi rischio di ipotermia).

E’ sconsigliato l’utilizzo del ghiaccio a contatto con la superficie corporea per evitare la vasocostrizione locale che ostacola la termodispersione.

L’ipertermia può causare coagulazione intravasale disseminata, ipoglicemia, ipotensione, edema polmonare e compromissione della funzione cerebrale e vitale.

Il deficit della perfusione può essere conseguente all’ipertermia e allo shock distributivo; i pazienti devono essere strettamente monitorati e trattati con ossigenoterapia o ventilazione a pressione positiva.

Comunemente a seguito di una violenta attività convulsiva si verifica un’edema cerebrale che deve essere trattato tempestivamente.

Quando il paziente è stabile può essere impostata una terapia con fenobarbitale ed eventualmente con bromuro di potassio a discrezione del neurologo veterinario.

Il fenobarbitale è il barbiturico più utilizzato nelle sindromi convulsive sia nel cane che nel gatto, ha una lunga emivita e sono necessari 10-15 giorni per raggiungere un livello costante nel sangue; la fenobarbitalemia deve essere mantenuta in un intervallo di 15-45 mcg/ml.

La dose di barbiturico può essere ridotta quando lo si associa alla somministrazione di bromuro di potassio in quanto potenzia l’effetto del fenobarbitale senza gravare sulla funzionalità epatica poichè è escreto per via renale; possiede una lunga emivita lunga e sono necessari 120 giorni per raggiungere un livello costante ematico.

Altri anticonvulsivanti utilizzati sono il gabapentin, il pregabalin e la zonisamide.

La pancreatite nel gatto

La pancreatite nel gatto

La pancreatite felina è una vera e propria sfida diagnostica e terapeutica.

I sintomi clinici più frequenti sono letargia (100%) e parziale o completa anoressia (97%), raramente si manifestano vomito (35%) e dissenteria (15%).

Nonostante siano numerosi gli stimoli ipotizzati per lo sviluppo di pancreatite felina, una reale causa di solito non è evidente, per cui frequentemente si definisce idiopatica (ovvero senza una causa definita).

In corso di pancreatite le complicanze possono essere molteplici, tra cui diabete mellito, sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS), insufficienza renale acuta (IRA), coagulazione intravascolare disseminata (DIC), aritmie, ostruzione del dotto biliare, coagulopatie vitamina K responsive, lipidosi epatica (HL), ipopotassiemia, edema polmonare, acute lung injury (ALI), acute respiratory distress syndrome (ARDS) fino alla multiple organ dysfunction syndrome (MODS).

Si ritiene inoltre che la pancreatite possa progredire in pancreatite cronica (PC) e insufficienza pancreatica esocrina (EPI).

I risultati degli esami emocromocitometri, biochimici ed urinari in corso di PA sono aspecifici. Il paziente può quindi presentare una vasta gamma di anormalità ematologiche, influenzate soprattutto dalla presenza di stati patologici concomitanti. 

Importante notare come il riscontro di leucopenia o di ipocalcemia ionica siano associati ad una peggiore prognosi. 

La misurazione della fPLI-Specifica sierica è il più sensibile (79%-100%) e specifico (67-100%) marker disponibile per la pancreatite acuta felina.

L’fPLI-Specifica è un test quantitativo e valori > 5,3 µg/L sono indicativi di pancreatite, mentre valori compresi tra 3,5-5,3 µg/L sono considerati di dubbia valutazione. Oggi è disponibile un test SNAP (rapido) fPLI semi-quantitativo in cui un risultato positivo allo SNAP indica un fPLI > 3.5 µg/L.

Nonostante l’esame radiografico addominale (Rx-A) in corso di PA spesso mostri un quadro aspecifico, è comunque utile per escludere altre malattie con sintomatologia simile.

L’ecografia addominale (Eco-A) è un utile strumento per diagnosticare, escludere o rilevare PA ed ulteriori processi patologici concomitanti. Pancreas ipoecogeno, mesentere iperecogeno e versamento addominale sono relativamente specifici per pancreatite, tuttavia neoplasie ed altre alterazioni pancreatiche possono dare un quadro simile.

Il gold-standard per diagnosticare ante-mortem la pancreatite nel gatto è l’istopatologia, tuttavia molti gatti con PA non sono dei buoni canditati per l’anestesia che tale procedura richiede. Il prelievo tramite ago-aspirato (FNA) eco-guidato è un esame mini-invasivo e il conseguente esame citologico può essere un’alternativa all’istopatologia pur non essendoci studi sulla sua sensibilità e specificità.

Non esiste un sistema di classificazione universalmente riconosciuto per definire la gravità della pancreatite. Quest’ultima viene ancora stimata sulla base dell’evidenza clinica, laboratoristica e sulla presenza di complicanze, considerando tutto in un unico quadro d’insieme.

 

Il fondamento della terapia dei gatti con grave pancreatite è il mantenimento dell’equilibrio idrico ed elettrolitico.

La maggior parte di questi pazienti non tollera l’alimentazione intragastrica ed è necessario ricorrere all’applicazione di un sondino. 

La somministrazione di antibiotici viene attuata a scopo profilattico, in particolare se il paziente presenta febbre o mostra alterazioni tossiche dell’emogramma. La terapia antiemetica è indicata se il vomito è persistente e possono essere utili anche gli agenti procinetici come la metoclopramide in infusione continua, fondamentale è inoltra una buona terapia antidolorifica per migliorare la compliance del paziente. 

In tutti gli animali con pancreatite si raccomanda la protezione della mucosa gastrica con H2-bloccanti. 

Per correggere la grave ipoalbuminemia e garantire una fonte di fattori della coagulazione, antitrombina III ed inibitori delle proteasi, si può ricorrere alla trasfusione di sangue intero o plasma.

Le percentuali di sopravvivenza a questa patologia sono sconosciute, perché la diagnosi in vita risulta difficile. Tuttavia, nei gatti con pancreatite acuta e lipidosi epatica concomitanti la prognosi è molto più sfavorevole rispetto a quelli in cui la lipidosi epatica è presente da sola. 

Una recente indagine ha determinato che la percentuale di sopravvivenza dei gatti con pancreatite e lipidosi epatica concomitante è pari al 20%, mentre in quelli senza pancreatite è del 50%.

UN INCUBO CHIAMATO GIARDIA!

UN INCUBO CHIAMATO GIARDIA!

La Giardia è un parassita intestinale estremamente diffuso. Può infestare l’intestino sia del cane che del gatto, determinando sintomi più o meno evidenti, anche gravi.

La giardiasi è una parassitosi causata dal flagellato intestinale Giardia duodenalis, protozoo cosmopolita di numerose specie di mammiferi, sia domestici (cane, gatto, ovini, bovini, ecc.) che selvatici. 

La Giardia ha due forme biologiche, il trofozoite, che vive nell’intestino dell’ospite nutrendosi e riproducendosi asessualmente, e la cisti, che viene emessa con le feci dell’ospite ed è necessaria per la trasmissione del parassita.

La trasmissione della Giardia è di tipo oro-fecale, dovuta alle cisti del parassita che, emesse con le feci dell’ospite, rimangono vitali nell’ambiente per lungo tempo, in attesa di essere ingerite da un nuovo ospite. 

Il contagio può avvenire per contatto diretto con un ospite infetto (cisti possono essere presenti sulle mani di una persona o sul pelo di un cane) o con l’ambiente da esso frequentato e contaminato (es. il suolo di un giardino in cui viva un cane infetto), o per ingestione di cisti presenti nelle acque o su alimenti di origine vegetale utilizzati crudi.

Essendo Giardia duodenalis in grado di parassitare numerose specie di mammiferi, la trasmissione zoonotica tra animali ed uomo è possibile. Tuttavia gli animali domestici come cani, gatti e bovini sono spesso parassitati da ceppi specie specifici, non in grado di infettare l’uomo. 

I ceppi umani sono invece tutti zoonotici ed in grado di infettare numerose specie di mammiferi (es. cani, gatti, scimmie, ecc.).

L’infezione da Giardia può essere asintomatica, ma generalmente la parassitosi si manifesta con diarrea intermittente, feci particolarmente maleodoranti con muco, vomito, crampi addominali, gonfiore e flatulenza. 

Nel cane sono frequenti casi di infezioni totalmente asintomatiche.

Un animale parassitato può eliminare ogni giorno con le feci migliaia di cisti di Giardia, in grado di rimanere infettive per mesi se si trovano in un ambiente idoneo, come per esempio un giardino ombroso. Le cisti possono essere presenti anche sul pelo del nostro pet. 

La principale misura preventiva nei confronti di un parassita di questo tipo è l’osservanza delle normali norme igieniche: lavare le mani con frequenza, raccogliere le deiezioni e detergere bene l’area perinatale del nostro animale. 

Nel caso in cui la giardiasi sia stata diagnosticata al nostro animale domestico, queste norme devono essere applicate rigorosamente e bisogna prestare la massima attenzione per limitare la fecalizzazione ambientale raccogliendo le deiezioni e detergendo rigorosamente l’area perianale. 

È fondamentale impedire al cane di mangiare le proprie feci e quelle di altri cani.

E’ raccomandato pulire gli ambienti contaminati dalle feci con prodotti disinfettanti.

Giardia duodenalis è uno dei parassiti più frequentemente diagnosticati nei cani, siano essi padronali o di canile. 

Negli ultimi anni la sua diffusione in quest’ospite sembra essere in aumento, tuttavia si potrebbe trattare di un aumento apparente, legato in realtà ad un’accresciuta attenzione dei veterinari nei confronti di questo parassita. 

L’alta fecalizzazione ambientale tipica dei canili e la coprofagia di alcuni cani favoriscono senz’altro la trasmissione e la diffusione di questo protozoo. 

I cani sono per lo più parassitati da un ceppo specie specifico, ma possono infettarsi anche con i 2 ceppi zoonotici A e B. 

I casi di giardiasi nel gatto sono molto più rari, fondamentalmente grazie all’innata “pulizia” di quest’ospite.

La giardiasi nel cane deve essere sospettata in caso di diarrea, anche intermittente, particolarmente maleodorante. 

La sintomatologia è di solito più grave nei cuccioli ed in generale in quei soggetti il cui sistema immunitario è compromesso (Es. animali debilitati, anziani e in quelli che soffrono di altre patologie concomitanti).

La diagnosi si effettua con un esame a fresco o con un test ELISA su campioni di feci, in grado  di mettere in evidenza gli antigeni presenti in esse.

Esistono dei farmaci specifici, prescrivibili eventualmente dal Medico Veterinario, in grado di debellare l’infestazione. La ricomparsa del parassita è frequente, nonostante il loro utilizzo.

La somministrazione di prebiotici e probiotici per nutrire i microorganismi intestinali è un validissimo supporto terapeutico.

Debellare questo parassita può non essere semplice, a causa della sempre maggior frequenza di ceppi resistenti ai più comuni farmaci. 

In generale, può non essere sufficiente un unico ciclo di trattamento ed è altamente consigliato un controllo post trattamento, per verificare se il parassita sia stato effettivamente eliminato.

Il Sarcoma “Iniezione indotto” del gatto

Il Sarcoma “Iniezione indotto” del gatto

 

I sarcomi iniezione-indotti felini sono neoplasie maligne di origine mesenchimale che insorgono nella sede tipicamente utilizzata per l’esecuzione di iniezioni sottocutanee o intramuscolari.

Sono caratterizzati da un basso potere metastatico ma da una notevole tendenza alla recidiva locale se non asportati con margine laterale e profondo molto ampio.

Una loro caratteristica peculiare è il tempo di latenza anche di mesi o anni  tra l’esecuzione dell’iniezione e lo sviluppo del tumore, seguito però da una rapidità di crescita molto elevata, tanto da raggiungere dimensioni di alcuni centimetri nel giro di poche settimane.

La patologia è stata descritta per la prima volta negli Stati Uniti da due patologi che segnalavano l’aumento dell’incidenza della diagnosi di fibrosarcoma nel gatto da loro riscontrata negli ultimi anni.

Inizialmente tale aumento è stato imputato all’ obbligo di vaccinazione contro la rabbia e alla contemporanea introduzione del vaccino contro la leucemia felina, pertanto questa nuova forma tumorale è diventata universalmente nota come “sarcoma vaccino-indotto”, con grande clamore e preoccupazione.

Al fine di indagare in modo più approfondito sulle cause e stabilire delle linee-guida per l’inoculazione sottocutanea di farmaci nel gatto, nonché per definire la patogenesi e trovare una terapia adeguata e sensibilizzare i veterinari sul problema, nel 1996 si è costituita, sempre negli USA, una task force (Vaccine-Associated Feline Sarcoma Task Force – VAFSTF) composta dai maggiori esperti oncologi veterinari.

In seguito agli studi condotti negli anni successivi si è giunti alla conclusione che non solo i vaccini, ma qualsiasi sostanza inoculata per via sottocutanea o intramuscolare e in grado di indurre una risposta infiammatoria può portare alla formazione del tumore in soggetti predisposti.

Per questo motivo si è deciso di rinominare il tumore “sarcoma iniezione-indotto felino”, denominazione con la quale è ormai riconosciuto.

Il termine “sarcoma” e non fibrosarcoma è legato al fatto che sono numerosi gli istotitpi riconducibili alla stessa patogenesi, sebbene il fibrosarcoma sia la forma più frequente.

EZIOLOGIA E PATOGENESI
Le segnalazioni iniziali di Hendrick e Goldsmith e il successivo lavoro di Kass et al. (1993) avevano imputato l’aumento dei sarcomi e il loro sviluppo in animali mediamente più giovani (media 6-7 anni) rispetto a quanto fino ad allora riportato, alla vaccinazione contro rabbia e leucemia felina, e più probabilmente all’ adiuvante contenuto in tali prodotti.

Inoltre, il rischio di sviluppare il tumore aumentava proporzionalmente al numero di inoculazioni eseguite, passando dal 50% di rischio in più dopo una singola iniezione al 175% in più in seguito a 3 o più inoculazioni nella stessa sede.

L’iniziale incriminazione dell’adiuvante era avvalorata dal ritrovamento sui preparati istologici di materiale amorfo bruno-grigiastro in corrispondenza del centro necrotico della lesione e nei macrofagi che lo circondavano.

Tale sostanza poteva attivare un processo infiammatorio da corpo estraneo che nel tempo e in soggetti predisposti portava alla trasformazione neoplastica.

Attualmente si ritiene che non solo l’idrossido di alluminio impiegato come adiuvante di molti vaccini, ma qualsiasi sostanza in grado di stimolare una risposta infiammatoria cronica possa indurre la formazione del tumore.

Ne sono la prova i sarcomi riscontrati in soggetti mai vaccinati, ma trattati con antibiotici o corticosteroidi a lento rilascio, e di materiale da sutura non riassorbibile.

L’eziologia è comunque multifattoriale, dal momento che lo stimolo infiammatorio da solo, seppur importante, non è sufficiente a determinare la comparsa del tumore, come dimostrato dalla bassa incidenza del SII nella popolazione felina.

Ai fattori fisici si aggiungono quelli genetici, ed anche il sistema immunitario può essere implicato nel processo di trasformazione maligna.

Fattori relativi alla modalità di somministrazione (dimensioni dell’ago, massaggio della parte, manualità nella somministrazione, temperatura del prodotto inoculato, somministrazione sottocutanea o intramuscolare) non sembrano invece influenzare la comparsa del tumore, ad accezione della bassa temperatura della sostanza iniettata.

Anche i liquidi fisiologici quali la soluzione fisiologica non hanno prodotto alcun effetto.

Nessuna correlazione è inoltre stata osservata con la positività per i virus della leucemia o dell’immunodeficienza felina.

Il sarcoma da iniezione nel gatto: cos'è? | Prevenzione e cura | Salute | Magazine

DIAGNOSI
La diagnosi è relativamente semplice e si basa principalmente su segni clinici, raccolta di un’anamnesi accurata e poche indagini strumentali, quali la biopsia ad ago sottile ed eventualmente la biopsia incisionale.

Completano la stadiazione l’esame radiografico del torace o, meglio, la TC del torace e della lesione, mentre l’esame emato-chimico completo e l’esecuzione dei test per FIV e FeLV forniscono indicazioni sullo stato generale dell’animale.

L’età media di insorgenza del tumore è più bassa rispetto a quella di gatti affetti da sarcomi non indotti da iniezione ed è di circa 6-7 anni, con un secondo picco intorno ai 10-11.

Generalmente si assiste ad una crescita improvvisa e rapida della massa, che spesso si trova in regione interscapolare o nelle porzioni laterali del torace o del collo, ma che in soggetti poco trattabili (in cui le iniezioni sono fatte in modo più casuale) può svilupparsi anche nella regione glutea o della groppa. La lesione può apparire come massa ben circoscritta, di consistenza dura o duro-elastica, adesa ai piani profondi, di solito ricoperta di pelo e non dolente né pruriginosa.

In alcuni casi, però, si possono rilevare forme disseminate, granulose, mal definite

L’anamnesi può riportare l’esecuzione di un vaccino o di altra inoculazione avvenuta in media da 1 a 2-3 mesi prima del riscontro del problema, ma in alcuni casi l’ultima inoculazione può risalire anche a parecchi anni prima della visita.

L’esecuzione della biopsia ad ago sottile permette di ottenere la diagnosi di neoplasia mesenchimale nel 50% dei casi, dal momento che si tratta di tumori poco cellulari e spesso cistici, ma anche la descrizione della presenza di un processo infiammatorio con numerosi linfociti e macrofagi non deve escludere completamente la diagnosi di neoplasia.

Importante è quindi la scelta del punto in cui eseguire la biopsia, mentre l’invio al laboratorio del liquido prelevato è inutile.

Nei casi dubbi si può ricorrere alla biopsia incisionale e all’esame istologico.

Sarcoma iniezione-indotto felino (SIIF) - Vetpedia l'Enciclopedia di Medicina Veterinaria

TERAPIA
È ormai riconosciuto che le maggiori possibilità di cura si ottengono con un approccio multimodale alla patologia, in cui l’associazione di chirurgia ad ampia base e radioterapia rappresentano i punti cardine per il controllo locale.

PROGNOSI
Alla luce delle attuali conoscenze la terapia multimodale basata sull’associazione di chirurgia ad ampia base e radioterapia adiuvante o neoadiuvante, con o senza l’ausilio della chemioterapia, è in grado di abbassare il tasso di recidiva locale al 41-44% a 2 anni, mentre il tasso metastatico (prevalentemente al polmone) si aggira attorno al 12-24%.

La sopravvivenza mediana è di 23 mesi, con un tempo mediano libero da malattia di 13-19 mesi.

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PREVENZIONE
Svolge un ruolo importante, vista l’eziologia “iatrogena” del tumore.

Inizialmente le linee guida, al fine di meglio chiarire la reale implicazione dei differenti tipi di inoculazione nello sviluppo della neoplasia, indicarono di somministrare il vaccino contro la Rabbia nell’arto posteriore destro (Right), quello contro la Leucemia felina nell’arto posteriore sinistro (Left) e il normale vaccino polivalente sulla spalla (FVR).

Queste indicazioni hanno in effetti dato i loro frutti, si è osservato, infatti, che a partire da dicembre 1996 il numero di SIIF in aree craniali del corpo è andato progressivamente diminuendo, mentre è aumentata la frequenza nelle aree posteriori.

Nel 2006 la distribuzione del tumore era approssimativamente uguale nei due settori, segno del recepimento delle linee-guida da parte di molti veterinari.

Sempre sulla base di tali riscontri e senza considerare l’influenza di altre sostanze inoculate, si è potuto determinare che il vaccino contro la rabbia era responsabile del 51,7% dei casi di tumore, quello contro la leucemia del 28,6% e quello contro le più comuni forme respiratorie feline: rinotracheite (FVR), Calicivirus (C), panleucopenia (P) e Chlamydia (-C) del 19,7% dei casi.

Questa informazione ribadisce la reale implicazione delle iniezioni nello sviluppo della neoplasia.

Attualmente l’indicazione è quella di eseguire qualsiasi tipo di inoculazione sottocutanea (il tumore si forma anche in seguito ad inoculazione intramuscolare, ma la diagnosi è più tardiva) in regioni facilmente aggredibili chirurgicamente, quali le porzioni laterali dell’addome, lontano dalla colonna vertebrale e dagli arti. In alternativa la porzione più distale possibile dell’arto posteriore può essere utilizzata, tenendo conto, però, che in questo caso l’escissione ad ampia base del tumore prevede l’amputazione dell’arto stesso, sicuramente efficace ma più invalidante rispetto all’asportazione di porzioni di parete addominale.

È in ogni caso sconsigliato vaccinare nuovamente i soggetti che hanno sviluppato il tumore e consigliato di ridurre ai reali casi di necessità la somministrazione per via iniettiva di qualsiasi farmaco.

Infine è compito del veterinario valutare l’opportunità della profilassi vaccinale in base al reale rischio di contagio di ciascun animale.

Anche su questo punto le linee guida, forniscono ottimi parametri di valutazione, così come le informazioni sulla reale durata dell’immunità vaccinale prodotte dall’AVMA.

Linee guida per le vaccinazioni: https://wsava.org/wp-content/uploads/2020/01/WSAVA-Vaccination-Guidelines-2015-Italian.pdf

Qual è l’antiparassitario che fa per me?

Qual è l’antiparassitario che fa per me?

L’arrivo della bella stagione porta con sè anche il ritorno di ospiti indesiderati come pulci, zecche, zanzare, flebotomi (vettori della leishmaniosi) e con la ripresa dell’attività all’aperto, l’aumento del rischio di contrarre pericolose parassitosi come la filaria e i vermi intestinali e polmonari.

Il prodotto perfetto non esiste, ma ogni profilassi và modulata in base al paziente che la riceve. 

Nella scelta dell’antiparassitario va considerato lo stile di vita dell’animale, ovvero se fa vita prevalentemente all’aperto, se vive esclusivamente in casa, se fa spesso bagni, se vive in campagna piuttosto che in città, se va per boschi, se viaggia spesso nelle regioni costiere, viaggia all’estero ecc.

Iniziamo a classificare i prodotti per modalità di somministrazione.

In commercio esistono:

Pipette spot on, che si applicano sulla cute o in punto solo o in più punti, da dietro alle orecchie fin verso alla coda.

Tra questi prodotti al momento, c’è la maggior variabilità tra efficacia, durata, spettro di applicazione e sicurezza per l’animale e il proprietario. La loro applicazione deve essere effettuata a distanza di 48 ore dal bagno.

Fipronil (Frontline): Attenzione!! Non utilizzare sul coniglio perché letale.

Va bene sia per cani che per gatti, non è tossico ed è di facile applicazione ma è efficace solo contro pulci, zecche e pidocchi, agisce solo sui parassiti adulti, dura 4 settimane e va fatto lontano dal bagno, ma non ha effetto repellente. Si applica in un solo punto sulla cute del dorso, nella regione sopra scapolare.

Negli ultimi anni il Fipronil è stato integrato con una sostanza, il Methoprene (Frontline Combo), che inibisce la crescita degli stadi larvali delle pulci e può essere di aiuto per evitare le infestazioni domestiche. Il prodotto, non ha però effetto repellente, quindi permette alle pulci e alle zecche di salire sul cane e sul gatto e di fare il pasto di sangue prima di ucciderle.

Solo per cani è stato aggiunto al Fipronil un’altra sostanza la Permetrina (Frontline Triact), che ha effetto repellente su pulci, zecche, zanzare, flebotomi e mosche cavalline.
Attenzione!! Sui gatti è potenzialmente letale.

Tutti questi prodotti a base di Fipronil durano 4 settimane ed hanno tra i vantaggi quello di poter essere applicati sulla cute in un solo punto, eccezion fatta per il TriAct che necessità l’applicazione in più punti per evitare fenomeno di irritazione locale ed eccessivo accumulo della Permetrina.

Rarissimi gli effetti collaterali, quali agitazione, irrequietezza ed irritazione cutanea e comunque sono di breve durata. I bagni frequenti ne limitano l’efficacia e la durata. Rimanendo tra i prodotti a base Fipronil, ma con l’aggiunta di Methoprene, Praziquantel e Eprinomectina, solo nel gatto, da qualche anno, è presente sul mercato, sempre spot on, un antiparassitario abbastanza completo, che si chiama Broadline.

Oltre a pulci, zecche e pidocchi, riduce la contaminazione ambientale ed elimina anche vermi piatti, come le tenie, vermi tondi intestinali, vermi polmonari e previene la filariasi cardiopolmonare. Dura 4 settimane, non è tossico e si può usare a partire dalle 7 settimane di età e si può applicare in caso di gravi infestazioni anche ogni 2 settimane senza rischi.

Tra i prodotti spot on che durano 4 settimane c’è l’Advantix della Bayer, che si usa soltanto nel cane, è a base di Imidacloprid e Permetrina, molto efficace su pulci, zecche e pidocchi ed ha azione repellente anche su zanzare, flebotomi e mosche cavalline. Va applicato in più punti sulla cute del dorso da dietro le orecchie a fin sopra la coda. Nei cani di piccola taglia può dare irritazione locale ed irrequietezza nei primi giorni di applicazione.

Per una efficacia azione repellente nei confronti dei flebotomi che trasmettono la Leishmania si consiglia di applicarlo anche ogni 2-3 settimane. Tossico nei gatti se non mortale. La stessa azienda ha però prodotto una versione per gatti che contiene solo Imidacloprid, dal nome simile a quello del cane, infatti si chiama Advantage per cui è facile confondersi, quindi attenzione. Funziona solo sulle pulci, dura dalle 3 alle 4 settimane e si può usare anche sui conigli.

Poi sempre la stessa azienda ha prodotto un antiparassitario, sempre a base Imidacloprid con aggiunta di Moxidectina, richiamando lo stesso nome, Advocate, che oltre alle pulci elimina gli acari della pelle come la rogna sarcoptica, la rogna delle orecchie e la demodettica, elimina i pidocchi, impedisce la infestazione della filariasi cardio polmonare ed elimina alcuni vermi intestinali e i vermi polmonari. Ma non fa le zecche. Si può usare anche nei furetti. Dura 4 settimane. I bagni frequenti ne limitano la durata ed efficacia (Tutti gli Spot-on)!

Stronghold; sempre tra gli spot on per cani e gatti, c’è un prodotto a base si Selamectina, combatte le pulci adulte, le larve e le uova, gli acari della rogna auricolare e sarcoptica, alcuni parassiti intestinali, previene la filariosi cardio-polmonare, ma non è efficace contro le zecche e non agisce come repellente. Si può applicare già in animali di 6 settimane.

Si utilizza nel coniglio.

Applicazione cutanea in un sol punto. Da quest’anno, solo per il gatto, è stato potenziato con l’aggiunta di Sarolaner, si chiama Stronghold Plus, agisce oltre che su tutti i parassiti sopraddetti anche contro i pidocchi e le zecche, dura 5 settimane contro le pulci e 4 contro le zecche. Entrambi sono molto ben tollerati.

Vectra 3D; un altro prodotto spot on per cani molto efficace è una miscela di tre sostanze, Permetrina, Piroproxifene e Dinotefuran. E’ efficace contro le pulci adulte e stadi larvali, le zecche, i flebotomi, le zanzare e le mosche ed ha azione anche repellente. Dura 4 settimane. Nei gatti si usa il Vectra Felis perché non contiene la Permetrina, molecola molta tossica per questa specie. Agisce solo sulle pulci sia adulte che stadi larvali.

Expot; tra i prodotti spot on uno tra i più efficaci contro le zecche, agisce anche contro pulci, pidocchi, zanzare, flebotomi e mosche, ha azione repellente, dura 4 settimane, ma non è da utilizzare nel gatto, sempre per via della Permetrina.

Practic; a base di Piriprolo, efficace solo contro pulci adulte e zecche, non agisce contro gli stadi larvali e le uova delle pulci. Dura 4 settimane e non va utilizzato nei gatti.

Ancora fra i farmaci spot on per gatti dobbiamo ricordare il Bravecto e il Bravecto Plus, il primo a base di Fluralaner agisce contro pulci adulte e zecche eh ha una durata di 3 mesi, il secondo, Bravecto Plus, ha in aggiunta la Moxidectina che amplia lo spettro nei confronti di alcuni vermi gastrointestinali e previene la filariosi cardiopolmonare, la sua durata è variabile, 3 mesi per pulci e zecche e due mesi per parassiti intestinali e filariosi.

Profender; da ultimo, ma non per questo meno importante, sempre solo nei gatti abbiamo tra i prodotti in pipetta il con due principi attivi, il Praziquantel e l’Emodepside, unico tra questi prodotti a trattare le infestazione dei soli parassiti interni sia intestinali ed in particolare la tenia, che polmonari. Non previene la filariosi. Non elimina ne pulci ne zecche! Dura 4 settimane.

 

Spray, si applicano sempre sulla cute, ma nebulizzandoli su tutto il corpo, zampe e pancia comprese;

Attualmente poco utilizzati con l’introduzione in commercio delle pratiche pipette Spot-on che in pochi secondi permettono l’applicazione dell’antiparassitario a differenza dei prodotti spray dove solo per citare il più famoso, il Frontline spray, sono necessari nebulizzare sull’animale dai 6 ai 12 spruzzi per Kilo di peso. Per cui comprendete che trattare un cane di 30 chili di peso significa spruzzare dalle 180 alle 360 nebulizzazioni. Altro prodotto storico tra gli antiparassitari spray, utilizzabile sia nel cane che nel gatto (attenzione alle dose che in questa specie il sovradosaggio può essere pericoloso), e il Neo Erlen a base di Fenotrina, Tetrametrina e Dietiltoluamide. Esiste anche in formato shampoo il cui vantaggio potrebbe essere quando esiste la necessità di lavare il cane o il gatto ma contemporaneamente trattare i parassiti. Questo perché tutti i prodotti antiparassitari sia in spray che in pipette Spot-on hanno la maggior efficacia se utilizzati lontano dal bagno. Perché sfruttano lo strato lipidico cutaneo di superficie per essere veicolati e resistere sul mantello. Durata 7 giorni, se non viene bagnato.

Come ulteriore protezione verso la leishmaniosi si può utilizzare uno spray cutaneo ad alta concentrazione di azadiractina (neem oil). Prodotto di origine naturale per cani e gatti, è indicato anche per cuccioli e

femmine in gravidanza e la zia azione repellente nei confronti dei pappataci è scientificamente provata (RP03 Spray, Zetamax spray).

 

 

Shampoo, ovviamente qui si deve fare il bagno all’animale;

Il più noto ed efficace è lo shampoo Neo Erlen. Si precisa che tutti gli shampoo non hanno effetto residuo, ovvero l’applicazione dello shampoo determina la morte dei parassiti presenti sull’animale ma poi si rende subito necessaria (entro 24 ore) l’applicazione di altri prodotti come pipette, compresse o collari che perdurino per 1-2-3 fino ai 7-8 mesi del collare Seresto.

 

Compresse, dove il principio attivo va fatto ingerire all’animale;

Anche tra questa tipo di formulazione al momento sul mercato è presente un ampia varietà di prodotti. Li accomuna lo spettro di azione antiparassitaria, efficace su pulci, zecche e acari della rogna (otodettica, sarcoptica e demodettica).

Non hanno effetto repellente, non agiscono sugli stadi larvali del parassita per cui non impediscono la contaminazione domestica ed è necessario che la pulce o la zecca faccia il suo pasto di sangue affinché il prodotto agisca. 

Trovano la loro principale indicazione nella facilità di impiego, molto appetibili perché aromatizzate, nella bassissima tossicità sia del cane, gatto, ma sopratutto per le persone e nella infinite possibilità dell’animale di bagnarsi, ovviamente senza perdere di efficacia. Si usano a partire tra le 8 e le 9 settimane di vita e per pesi del cucciolo tra i 1,3 e i 2 kg.

Tra questi troviamo:

Bravecto; tra i primi ad uscire in commercio, a base di Fluralaner, solo per cani il formato in compresse, E’ efficace per tre mesi. Nel gatto, come accennato sopra, il Bravecto è in formulazione pipetta Spot-on. Durata sempre tre mesi.

Simparica; a base di Sarolaner, contribuisce alla riduzione della infestazione domestica perché uccide le pulci prima che riescano a deporre le uova.

Simpatica Trio; ampliato lo spettro con l’aggiunta di Mibelmicina comprendendo anche la prevenzione della filariosi cardio-polmonare, vermi tondi intestinali e vermi polmonari, sia in prevenzione che in trattamento. Entrambi durano 1 mese.

Credelio; a base di Lotilaner, stesso spettro di azione antiparassitaria del Bravecto e Simparica. Durata 1 mese.
Esiste la formulazione per Gatti, sempre in compresse. L’unico al momento sul mercato destinato a questa specie.

NexGard; a base di Afoxolaner, solo per Cani, l’unico che agisce su pulci adulte, zecche e acari della rogna sarcoptica e demodettica, in questo caso riportato nel foglietto illustrativo, quindi l’uso è previsto e consentito.
NexGard Spectra; ampliato lo spettro con l’aggiunta di Mibelmicina comprendendo anche la prevenzione della filariosi cardio-polmonare, vermi tondi intestinali e vermi polmonari, sia in prevenzione che in trattamento. Entrambi durano 1 mese.

Cardotek 30 plus; a base di Ivermectina e Pyrantel ed è efficace nel prevenire la infestazione della filariosi cardio-polmonare e alcuni vermi tondi intestinali. Solo nel Cane, dura 1 mese

Interceptor e Interceptor Plus; a base di mibelmicina, utile per la prevenzione di filariosi, alcuni vermi tondi intestinali, alcuni vermi polmonari e la rogna demodettica. Il Plus, contenendo Lufenuron è utile anche per combattere l’infestazione da pulci attraverso la prevenzione della contaminazione ambientale, impedendo di fatto la schiusura delle uova . Solo nel cane, dura 1 mese.

 

 

Collari antiparassitari: sono utilizzati soprattutto per la prevenzione della infestazione da pulci, zecche, pidocchi, zanzare, flebotomi e mosca cavallina. Hanno azione repellente e alcuni sono resistenti all’acqua, anche se bagni molto frequenti e prolungati riducono il tempo di efficacia.

Sono di lunga durata, variabile tra i 4 e gli 8 mesi. Presentano un certo grado di tossicità per cui è da evitare che l’animale dorma nel letto e soprattutto da evitare il contatto con neonati e bambini. Possono presentare un certo grado di irritazione locale nel punto di applicazione e alcuni soggetti possono manifestare irrequietezza nella prima settimana di applicazione. Vanno applicati a partire dai 2 mesi di vita dell’animale. Tra questi citiamo:

Seresto; a base di Imidacloprid e Flumetrina, tra i più efficaci nella riduzione del rischio di infestazione di pulci, agendo anche sulle larve e riducendo la contaminazione ambientale, molto efficace anche contro le zecche e nel prevenire le malattie da loro trasmesse e nel ridurre il rischio di puntura da parte del flebotomo con conseguente riduzione del rischio della infezione di leishmania. Utilizzabile anche nei gatti. Buona resistenza all’acqua. Il più duraturo, fino a 7-8 mesi.

Scalibor: a base di Deltametrina, tra i più efficaci nel ridurre il rischio leishmaniosi garantendo 12 mesi di protezione con un solo collare, buona azione contro zecche, discreta per le pulci, solo 4 mesi. Da NON usare nei gatti! Poco resistente al bagno, per cui si consiglia di non farli durante la prima settimana di applicazione e di rimuoverlo in caso di necessità.

 

 

Iniettabili; sono solo di uso esclusivo veterinario, in commercio ce ne sono diversi, ciascuno per un particolare parassita. Si usano solo per parassiti interni e per alcuni tipi di rogna.

 

Polveri; ormai in disuso, poco pratiche nell’uso, altamente tossiche, senza effetto residuo, poca azione repellente. Da NON usare, anche nei gatti.

 

La scelta del prodotto antiparassitario è quindi articolata, spesso è necessario ricorre all’uso contemporaneo di almeno due prodotti per poter ottenere la massima copertura.

La decisione su quale antiparassitario scegliere va quindi sempre ponderata e basata soprattutto su l’indicazione del Medico Veterinario di fiducia che riuscirà a prescrivere o consigliare il prodotto o i prodotti più adatti a voi e al vostro Amico a quattro zampe!

Il mastocitoma nel cane e nel gatto

Il mastocitoma nel cane e nel gatto

Il mastocitoma (MCT) è il tumore più comune della cute del cane e origina dai mastociti, cellule responsabili delle reazioni allergiche e infiammatorie.

I mastociti contengono al loro interno delle sostanze, in particolare l’istamina, che possono essere responsabili di complicanze locali (eritema, prurito, gonfiore) e sistemiche (vomito, diarrea, shock anafilattico).

Il comportamento biologico o grado di malignità di questi tumori è altamente variabile in base alla specie, al sito di insorgenza ed alla presenza di metastasi.

La presentazione clinica di tale tumore è molto variabile.

In alcuni casi, il mastocitoma può presentarsi sotto forma di un singolo nodulo cutaneo o sottocutaneo con la tendenza ad ingrandirsi o a scomparire.

Altre volte è possibile notare sulla cute un’area più o meno estesa ed eritematosa (segno di Darier).

Ancor più difficile è sospettare la presenza di questa patologia quando vi sia il coinvolgimento degli organi interni in assenza di segni clinici.

I MCT possono avere un comportamento benigno, rimanendo invariati nel corso dei mesi/anni, così come un decorso clinico aggressivo a crescita locale e diffusione metastatica rapida.

I siti principali di metastasi sono rappresentati dai linfonodi regionali, seguiti poi da fegato e milza.

Qualsiasi neoformazione sospetta o nuova lesione cutanea che mostra la tendenza alla crescita ed al cambio di forma riscontrata sul nostro animale deve essere sempre indagata mediante visita clinica ed esame citologico.

La citologia del mastocitoma è infatti una tecnica di campionamento non invasiva e priva di effetti collaterali che, la maggior parte delle volte, può condurre rapidamente ad una diagnosi certa.

 

Il mastocitoma nel cane

Sebbene sia in grado di colpire soggetti di qualunque razza od incrocio, in particolare i soggetti di età media di 8-10 anni, esistono razze predisposte, in particolare:

Boxer

Shar-pei

Carlino

Bulldog francese

Bulldog inglese

Labrador

Beagle

Rhodesian ridgeback

Schanauzer

Bull terrier

Boston terrier

Canine Mast Cell Tumours

Il mastocitoma può comparire ovunque sulla superficie corporea, sia in forma singola che in forma multipla disseminata.

Nel cane il mastocitoma rappresenta il 7-25 % dei tumori cutanei.

Le sedi metastatiche più comunemente interessate in questa forma tumorale sono il linfonodo regionale, la milza ed il fegato, per ultimo i polmoni.

La forma viscerale, in questa specie, è quasi sempre conseguenza di disseminazione metastatica a partire da un mastocitoma cutaneo indifferenziato.

Oltre ai segni diretti causati da questa neoplasia, possono essere osservati segni indiretti o meglio conosciuti come paraneoplastici secondari alla presenza del mastocitoma.

Tra questi ricordiamo le ulcere del tratto gastroduodenale  provocate dal rilascio di istamina  e il ritardo della coagulazione a causa del rilascio di eparina da parte dei mastociti.

I pazienti affetti potranno dunque presentare, oltre alla neoplasia macroscopica, anche i seguenti segni clinici:

Vomito

Anoressia

Perdita di peso

Diarrea

Melena

Ulcere diffuse.

 

Il mastocitoma nel gatto:

Nel gatto il mastocitoma può presentarsi in 3 diverse ed importanti forme:

cutaneo

splenico

viscerale.

La forma cutanea nel gatto rappresenta il secondo tumore più frequente riscontrato a questo livello.

Esso può presentarsi come una piccola lesione nodulare chiara ed alopecica con localizzazione più frequente a testa o collo o, più raramente, come lesioni multiple.

Feline Cutaneous Mast Cell Tumors

Il mastocitoma cutaneo in questa specie si divide in due forme separate: una forma mastocitica (ben differenziata e anaplastica) ed una forma istiocitica.

E’ tendenzialmente benigno ma, esistendo, seppur rare delle forme anaplastiche con carattere metastatico, la stadiazione  e la successiva escissione chirurgica è tutt’oggi consigliata come prima scelta.

La forma splenica rappresenta, nel gatto, il tumore più frequentemente riscontrato a livello della milza.

Esso colpisce gatti adulti senza predisposizione di razza.

Gli animali affetti presentano marcata splenomegalia e sintomi aspecifici come anoressia, abbattimento, perdita di peso, ecc.

Il tasso metastatico ai linfonodi ed agli altri organi è piuttosto elevato, motivo per il quale, dopo stadiazione negativa, la terapia d’elezione prevede la splenectomia.

La forma intestinale, infine, rappresenta il terzo tumore più comune nel gatto in questo distretto.

Esso si presenta come una massa nodulare extraluminale più frequentemente a carico del piccolo intestino.

I proprietari spesso riferiscono dimagrimentodiarrea costante e/o intermittente e vomito.

Alla visita clinica, in particolare alla palpazione addominale, viene spesso percepita una massa.

Questa forma tumorale è molto aggressiva ed altamente metastatica ai linfonodi meseraici e fegato ed anche in questo caso la terapia d’elezione, quando possibile, è chirurgica e spesso accompagnata da chemioterapia adiuvante.

 

La diagnosi di mastocitoma

Come già accennato, il mastocitoma può essere diagnosticato mediante esame citologico oppure mediante esame istologico, riservato ad alcune forme particolari.

Una volta diagnosticato, fondamentale per la pianificazione dell’approccio terapeutico è la stadiazione

Per ottenere la stadiazione devono essere associati diversi tipi di indagine:

esami del sangue (emocromo, biochimico, esame urine, striscio e lettura del buffy-coat)

campionamento linfonodale

diagnostica per immagini (esame ecografico dell’addome con campionamento citologico di fegato e milza ed esame radiografico del torace per escludere metastasi a questi distretti.)

 

Approccio terapeutico

La scelta dell’approccio terapeutico può variare moltissimo in base allo stadio clinico.

Laddove possibile, fino al secondo stadio, la chirurgia risulta la prima scelta, accompagnata successivamente o meno da chemioterapia in base al grado istologico.

Nel terzo stadio, in assenza di coinvolgimento metastatico, la scelta potrebbe ricadere sulla radioterapia o sull’elettrochemioterapia.

La chemioterapia è una pratica innovativa che vede l’associazione di impulsi elettrici con la somministrazione di un farmaco chemioterapico con lo scopo di ridurre gli effetti collaterali sistemici legati alla chemioterapia ma anche quello di potenziare gli effetti citotossici e curativi a livello della regione da trattare.

L’elettrochemioterapia è una tecnica rapida, efficace  e poco invasiva.

La chemioterapia rimane comunque una valida alternativa terapeutica, anche in presenza di fattori prognostici negativi, essendo questo tumore altamente chemioresponsivo.

Esiste, inoltre, un medicinale antitumorale veterinario (tigilanolo tiglato) che può essere usato nei cani per trattare mastocitomi che non possono essere rimossi chirurgicamente e che non si sono diffusi in altre parti dell’organismo.

FIV e FELV: Cosa sono e quando testare i nostri gatti?

FIV e FELV: Cosa sono e quando testare i nostri gatti?

Un proprietario di gatti non può non aver mai sentito parlare di FIV e FeLV, conoscerle è importantissimo per prevenirle e proteggere così i nostri animali.

 

FeLV

Il virus della leucemia Felina (FeLV) è causa di una delle malattie infettive più temibili del gatto.

Il virus della leucemia felina è molto labile e viene distrutto in pochi minuti dagli agenti atmosferici; di conseguenza la via di contagio più comune è rappresentata dal contatto con i liquidi organici infetti,  soprattutto la saliva, ma anche secrezioni nasali, urine, feci e latte materno.

La trasmissione avviene quindi attraverso i contatti sociali o il grooming, ma può avvenire anche attraverso le ferite da morso, ed è maggiore negli ambienti ad alta densità.

In caso di femmine viremiche gravide, solitamente si ha morte embrionale o neonatale, mentre in quelle con infezione latente il virus non è solitamente trasmesso ai feti; solo raramente qualche gattino può comunque risultare positivo.

In questi casi la trasmissione può avvenire perché il virus latente può vivere in una singola ghiandola mammaria e riattivarsi.

L’infezione è più comunemente diagnosticata in gatti tra 1 e 6 anni di età. I gattini, sotto i 5 mesi di età, sono particolarmente vulnerabili a diventare persistentemente infetti. I gatti adulti sono invece più resistenti all’infezione.

Dopo il contagio oronasale, il virus si replica inizialmente a livello delle tonsille e dei tessuti linfoidi locali, poi si distribuisce ai linfociti ed al sistema linfoide fino ad essere portato al midollo osseo, all’epitelio della mucosa intestinale e respiratoria ed alle ghiandole salivari. Questo processo dura 2-4 settimane. Se il virus si localizza a livello di midollo osseo è possibile l’instaurarsi di un’infezione latente. Talvolta la viremia può svilupparsi alcuni mesi dopo una esposizione costante al virus. Il meccanismo che controlla lo sviluppo ed il mantenimento di una viremia è legato al funzionamento più o meno corretto del sistema immunitario.

Dopo che è avvenuta l’infezione, si possono sviluppare quattro risultati:

  • Il gatto può sviluppare una viremia persistente; questo si verifica in circa il 33% dei gatti esposti al virus, e la maggior parte di questi soggetti manifesteranno i segni clinici delle patologie correlate all’infezione che ne determineranno la morte entro 3-5 anni.

 

  • Nel restante 66% dei soggetti, dopo una viremia iniziale transitoria, il soggetto resiste all’evoluzione della fase viremica in persistente, probabilmente per la rapida ed efficace risposta immunitaria umorale che consente di neutralizzare il virus. Nei gatti transitoriamente infetti di solito l’infezione si risolve in 4-6 settimane dopo la penetrazione del virus.
  1.  Circa  il 33% circa dei gatti con viremia transitoria non è in grado di eliminare tutte le cellule infette entro le 4-6 settimane e sviluppa un’infezione latente. In questo caso il virus rimane “nascosto” a livello midollare e può essere  “riespresso” (sviluppo di una nuova fase viremica) in seguito a determinati stimoli o trattamenti corticosteroidi. Nei gatti con infezione latente l’infezione si estingue generalmente nell’arco di 3 anni. I soggetti con viremia transitoria non sviluppano le patologie FeLV-correlate ed il virus non può essere evidenziato nel sangue.
  2. Alcuni gatti (5%) possono sviluppare una forma localizzata dell’infezione. In questa situazione il virus è sequestrato in alcuni tessuti come il tratto gastrointestinale, milza e midollo osseo, dove però può continuare a replicarsi. Una infezione localizzata al tessuto mammario può trasmettere l’infezione ai gattini durante l’allattamento.

FeLV - Malattie Gatti - FeLV, ovvero la leucemia felina

I segni clinici più comuni delle viremia persistente di FeLV sono immunosoppressione, anemia e linfoma. Manifestazioni meno comuni sono malattie immuno-mediate, enterite cronica, disordini riproduttivi e neuropatie periferiche.

La maggior parte dei gatti persistentemente viremici muore entro 2-3 anni.

I gatti FeLV-positivi hanno un rischio di  sviluppare linfomi circa 60 volte maggiore dei gatti FeLV-negativi. Questo tumore pare possa svilupparsi in circa il 25% dei gatti infetti, solitamente giovani, di circa 2-4 anni; le forme più frequentemente diagnosticate sono quelle mediastiniche (timiche, più frequenti, o linfonodali) e multicentriche. Sebbene meno comunemente anche le forme renali, spinali e atipiche (cutanee, oculari)  possono essere osservate in animali positivi per FeLV. La forma linfomatosa meno frequentemente associata a FeLV è quella a carico dell’apparato gastroenterico. In  base a questi dati è ovvio che qualunque gatto che sviluppi un linfoma DEVE essere sottoposto a test per FeLV; ciò può essere utile anche per definire gli aspetti  prognostici della patologia.

La vaccinazione per FeLV è considerata “non-core”, cioè “non essenziale”. In molte circostanze tuttavia il vaccino per FeLV deve essere considerato parte essenziale di un buon programma di prevenzione verso le malattie infettive del gatto. Il piano di profilassi vaccinale deve però essere predisposto per il singolo paziente, sulla base del reale rischio di esposizione all’infezione, che varia con l’età, lo stato di salute, il grado di esposizione ambientale e la prevalenza geografica della patologia.

Negli ultimi 25 anni l’importanza della FeLV  si è gradualmente ridotta, grazie all’utilizzo di programmi di vaccinazione ed all’uso più esteso dei test.

 

 

 

FIV

Il virus dell’immunodeficienza felina  (FIV – Feline immunodeficiency virus) è correlato morfologicamente all’HIV dell’uomo ma è da questo antigenicamente distinto. Entrambi i virus presentano una  patogenesi  simile, caratterizzata da un lungo periodo di latenza clinica durante il quale le funzioni del sistema immunitario gradualmente si deteriorano. Al termine del periodo di latenza può svilupparsi la fase di Immunodeficienza Acquisita (AIDS) che è accompagnata da infezioni opportunistiche, malattie sistemiche direttamente od indirettamente correlate alla presenza del virus e neoplasie.

La trasmissione è soprattutto orizzontale e diretta tra gatti adulti attraverso i morsi durante le lotte e i combattimenti. Studi epidemiologici hanno dimostrato che la prevalenza della FIV è influenzata dal comportamento: l’infezione è quindi più frequente tra i gatti maschi che vivono all’aperto o che hanno la possibilità di uscire da casa. Il 78% dei soggetti è giovane-adulto al momento della diagnosi (2-5 anni);  il virus non è caratterizzato da un’elevata contagiosità, quindi la presenza di più gatti nello stesso ambiente domestico non aumenta la probabilità di contagio a condizione che non vi siano conflitti territoriali.  Altre vie di trasmissione sono molto meno importanti (leccamento, uso in comune di lettiere e ciotole, allattamento, transplacentare). Curiosamente la trasmissione sessuale, che è la via più comune di infezione nell’uomo, appare inusuale nel gatto. La trasmissione verticale si verifica principalmente nelle gatte che vengono infettate nelle fasi precoci della gravidanza.

Il FIV raramente induce  direttamente una malattia. Spesso è una infezione opportunista che causa i segni clinici; l’infezione progredisce attraverso diversi stadi:

  • La prima fase, che è quella primaria dell’infezione, è caratterizzata da sintomi clinici di gravità variabile quali febbre, diarrea, congiuntivite e aumento delle dimensioni dei linfonodi. Molto spesso queste manifestazioni durano poco e passano inosservate. Agli esami di laboratorio si possono tuttavia riscontrare linfopenia e neutropenia marcata.

La gravità dei sintomi della fase primaria varia con l’età: i gattini neonati sviluppano la più grave e persistente linfoadenopatia, mentre i gatti anziani mostrano segni clinici minimi di malattia anche se vanno incontro allo stadio successivo più rapidamente. La mortalità durante la fase iniziale e bassa. Dopo questo stadio solo alcuni soggetti possono sviluppare una linfoadenopatia generalizzata marcata e persistente anche alcuni mesi, che crea diversi problemi dal punto di vista diagnostico in quanto citologicamente può essere talvolta scambiata per una patologia linfoproliferativa.

 

  • La maggior parte dei gatti, terminata la fase acuta, entra nel periodo di latenza dove clinicamente non vi sono alterazioni di rilievo. Questo periodo può durare anni (5-10 anni) e la sua evoluzione verso lo stadio finale dipende da diversi fattori  comprendenti l’età e lo stato di salute del paziente nelle prime fasi dell’infezione, la dose e la via di inoculazione del virus, ed infine le condizioni immunitarie del soggetto.

In linea generale gatti che vengono infettati da cuccioli progrediscono verso lo stadio terminale più velocemente di quelli infettati in età adulta.  Inoltre anche il tipo di vita che conduce l’animale e la possibilità che venga esposto ad altri agenti infettivi riveste una  certa importanza. Infatti tale esposizione può portare ciclicamente ad una attivazione del sistema immunitario e conseguente riattivazione del virus. In questi casi il periodo asintomatico può ridursi a qualche anno.

 

  • Stadio avanzato: i soggetti che entrano nello stadio avanzato della malattia soffrono della sindrome d’immunodeficienza e possono presentare infezioni croniche od opportunistiche. Le malattie più spesso diagnosticate sono la sindrome  stomatite/gengivite/faucite, alterazioni midollari quali anemia e leucopenia, insufficienza renale, altre infezioni opportunistiche (micosi, herpesvirosi, infezioni batteriche, sinusiti, etc), infiammazioni oculari e, meno frequentemente, neoplasie, principalmente linfomi alimentari.

La comparsa di gravi patologie cutanee, parassitarie o micotiche in un gatto adulto devono SEMPRE allertare sulla possibilità che il paziente sia immunodepresso e quindi portare all’esecuzione del test per FIV e FeLV.

Le patologie a carico sia del sistema nervoso centrale che periferico frequentemente complicano il decorso della FIV, possono manifestarsi alterazioni quali sindromi convulsive, alterazioni di comportamento, anisocoria e paresi.

Le stomatiti croniche ulcerative sono la manifestazione più comune nei gatti infetti dal  virus da molto tempo. Questa sindrome pare però verificarsi solo in gatti che sono stati esposti ad altri agenti infettivi oltre che al FIV. L’infezione concomitante più frequentemente identificata nei pazienti con stomatiti FIV-associate è quella da calicivirus che  è quindi considerata un co-fattore nella possibile induzione della sindrome, anche se il meccanismo di sviluppo della patologia non è completamente noto. Sono stati segnalati anche disordini riproduttivi nei gatti infettati da FIV ed essi sono solitamente imputabili alla presenza del virus nei tessuti fetali e placentari. Infine sempre più pubblicazioni riportano il coinvolgimento renale associato a più o meno marcata proteinuria. Il danno renale nei gatti FIV infetti è provocato da lesioni che si verificano sia per la presenza diretta del virus, che come conseguenza di lesioni immunomediate.

Il controllo delle abitudini del gatto rappresenta l’unica forma di profilassi nei confronti dell’infezione da FIV, in quanto attualmente  è disponibile, ma non in Italia,  un unico vaccino di cui peraltro non è ancora nota la reale efficacia. Un gatto che vive in casa e non ha la possibilità di uscire all’esterno non sarà mai soggetto all’infezione da FIV (o da FeLV).

L’immunizzazione dei soggetti FIV positivi contro altri agenti (FHV, FCV, FeLV) è invece indicata in quanto questi gatti sono candidati a contrarre infezioni secondarie e opportunistiche. Inoltre i pazienti FIV positivi andrebbero isolati in modo da non avere contatti con altri soggetti. Il proprietario deve segnalare al veterinario qualsiasi segno clinico eventualmente insorto, in modo da trattare precocemente disturbi potenzialmente gravi. Inoltre deve essere in grado di esaminare le gengive (per evidenziare ittero o pallore delle mucose), di palpare i linfonodi e di controllare i caratteri della minzione e della defecazione del soggetto.

 

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TEST FIV FELV?

Recentemente il Journal of Feline Medicine and Surgery ha pubblicato un aggiornamento sulle retrovirosi feline, con le relative linee guida per la gestione clinica (Little et al, Journal of Feline Medicine and Surgery 2020; 22: 5–30) e diagnostica.

Le infezioni da FeLV (virus delle leucemia felina) e FIV (virus dell’immunodeficienza felina) sono sicuramente le più comuni cause di malattie infettive dei gatti domestici. La sieroprevalenza è molto variabile e dipende dall’età, sesso, stile di vita, condizioni fisiche e localizzazione geografica prese in considerazione.

Una diagnosi accurata della presenza dell’infezione è importante sia per i gatti infetti che per quelli non–infetti. L’insuccesso o l’errore nella diagnosi dei gatti infetti può portare da una parte alla libera circolazione di soggetti portatori che possono trasmettere il virus, dall’altra alla eutanasia di soggetti sani.

La base per la diagnosi clinica di FeLV e FIV è la presenza dell’antigene circolante (FeLV), degli anticorpi (FIV) e degli acidi nucleici (PCR).

 

FeLV

La FeLV è caratterizzata da un carico antigenico rilevante; di conseguenza i test che valutano la presenza dell’antigene circolante FeLV p27 sono scarsamente  influenzati da fattori esterni quali la presenza di anticorpi di origine materna.

I test standard ricercano l’antigene p27 circolante nel sangue del paziente.

Le circostanze che devono indurre ad eseguire i test per la diagnosi dell’infezione sostenuta da FeLV sono molteplici:

  • ogni volta che ci si trovi di fronte ad un soggetto malato, indipendentemente dall’età, dall’esito negativo dei test eseguiti in precedenza e dalle vaccinazioni effettuate. Si deve, infatti, ricordare che l’infezione sostenuta da FeLV è associata ad una vasta gamma di manifestazioni cliniche;

 

  • qualora un gatto di cui non si conosca lo status epidemiologico venga introdotto in un ambiente domestico in cui non siano presenti altri felini, si impone comunque l’esecuzione dei test poiché il soggetto, anche se al momento sano, potrebbe manifestare la malattia in tempi successivi. Inoltre, sebbene mantenuto in casa, tale soggetto potenzialmente infetto potrebbe fuggire e rappresentare un rischio di esposizione all’infezione per i suoi simili.

 

Il controllo periodico, inoltre, viene consigliato per quei soggetti che siano da ritenersi continuamente a rischio di esposizione all’infezione, come i gatti con libero accesso all’ambiente esterno o i soggetti randagi.

Nel caso in cui si sospetti un avvenuto contatto con il virus, il mancato riscontro di positività mediante i test comunemente impiegati nella diagnosi delle infezioni da FeLV deve comunque indurre il medico veterinario a riesaminare l’animale a distanza di circa un mese dall’ultima potenziale esposizione all’infezione, poichè durante lo stadio pre-viremico della malattia gli esami potrebbero dare esito negativo.

 

Un risultato Positivo ad un test ELISA od Immunocromatografico indica una di queste situazioni:

  • Gatto persistentemente viremico. Se il gatto non riesce ad eliminare il virus nell’arco di 12 settimane dal momento dell’infezione, egli rimarrà infetto. Questi gatti sono suscettibili a sviluppare entro alcuni anni una delle patologie FeLV-associate; inoltre sono un rischio per gli altri gatti perchè eliminano il virus nell’ambiente.
  • Gatto con viremia transitoria. In seguito ad una pronta risposta immunitaria il gatto elimina il virus; dopo 4-6 settimane, gatti con viremia transitoria possono divenire FeLV-negativi; di conseguenza, in ogni gatto FeLV-positivo, l’esame andrebbe ripetuto dopo 6-8 settimane. In altre parole, nessun gatto dovrebbe essere soppresso sulla base di una singola positività al test.
  • Gatto falso positivo o risultato discordante. Ogni risultato positivo in un gatto sano deve far nascere dei dubbi; in particolare tali attenzioni vanno rivolte a quei soggetti che vivono in popolazioni feline a bassissimo rischio, quali i gatti di allevamento o quelli che vivono isolati in appartamento. In questi gruppi di gatti il rischio di un esame FALSO POSITIVO  può arrivare al 50%. Quando si sospetta un risultato falso  positivo, il test va ripetuto in un laboratorio commerciale segnalando con quale test si è ottenuto il primo risultato. Se il risultato è confermato si ritiene il soggetto positivo. Se il risultato è discordante si può ricorrere ad altre indagini.
  • Fino al 30% dei gatti risultati positivi all’ELISA può non essere viremico, ma presentare un’infezione locale a livello di ghiandole mammarie o salivari o dei relativi linfonodi regionali. In questi casi è consigliabile sottoporre il soggetto ad un controllo dopo 6-8 settimane con l’ELISA o con l’IFA.

 

 

Un risultato Negativo ad un test ELISA od Immunocromatografico può significare:

  • gatto non esposto
  • gatto con infezione precedente, ma eliminata
  • infezione precoce, quindi non ancora evidenziabile
  • infezione latente
  • infezione localizzata
  • falso negativo:Un test può essere falsamente negativo se il gatto è stato infettato ma non si è ancora sviluppata una viremia evidenziabile dal test. Perchè un test venga positivo solitamente sono necessarie almeno 2-4 settimane dal momento dell’infezione. I soggetti che vivono all’aperto dovrebbero essere isolati almeno 28 giorni prima dell’esecuzione del test, e ricontrollati dopo 90 giorni, dato che alcuni animali impiegano molto più tempo per sviluppare una viremia.

 

 

 

FIV

I test impiegati per diagnosticare l’infezione da FIV sono basati sul rilevamento degli anticorpi prodotti contro il virus in quanto il FIV non produce quantità di particelle virali sufficienti ad essere rilevate nel sangue o in altri fluidi mediante i test immunologici di routine. Lo standard dei test diagnostici utilizza i sistemi ELISA o in Immonocromatografia per evidenziare gli anticorpi circolanti nel siero dei pazienti e vi sono ormai molti differenti prodotti commerciali.

 

La sieroconversione si realizza  2-4 settimane dopo l’infezione e quindi dopo questo periodo gli anticorpi saranno evidenziabili con i test.  La maggior parte dei kit diagnostici in commercio sono estremamente sensibili: i risultati falsi-negativi sono rari, mentre false positività possono verificarsi in circa un terzo dei gatti se la sieroprevalenza di popolazione è molto bassa. Per questo motivo un soggetto ELISA positivo, specialmente se sano,  andrebbe ritestato con il test western blot.

 

Un test Positivo può indicare tre situazioni:

  • Gatto persistentemente infetto; gli anticorpi anti-FIV sono associati con l’infezione a vita con questo virus.
  • Gattino nato da madre infetta: è bene ricordare che sebbene un soggetto partorito da una femmina positiva sia difficilmente infetto, egli ha sicuramente assorbito tramite il colostro gli anticorpi materni contro il FIV. Testando questo gattino avremo un risultato falso-positivo poiché i test normalmente utilizzati (ELISA, immunocromatografia) evidenziano gli anticorpi, e gli Anticorpi materni possono perdurare per molti mesi prima di declinare, almeno 4 mesi. Ci vogliono poi altri 2 mesi perché avvenga una sieroconversione se il soggetto è stato infettato. Su questa base una diagnosi di FIV non può essere effettuata nel gattino, evidenziando gli anticorpi,  prima del compimento dei 6 mesi di età.
  • Risultato falso positivo. Nessun test è accurato al 100%, per cui è necessario sempre valutare le caratteristiche cliniche e sociali del soggetto testato. Un esame positivo in un gatto con pochissime possibilità di essere infetto (gatto di allevamento mai uscito di casa) presenta sino al 50% di possibilità di essere un falso positivo.

 

 

Un test Negativo può indicare una delle tre possibilità:

  • il gatto non è infetto
  • il gatto è infetto con FIV ma ha anticorpi non evidenziabili al test.
  • il gatto è infetto da FIV ma non produce anticorpi o non li ha ancora prodotti. Ciò si può verificare in pazienti molto ammalati od allo stadio finale dell’infezione, od in gatti in fase acuta di infezione (meno di due mesi post-infezione). In quest’ultimo caso, se è noto il momento dell’evento traumatico (morso), è necessario ritestare il soggetto da 6 a 8 settimane più tardi.
Che cos’è la dieta BARF?

Che cos’è la dieta BARF?

Sempre più spesso sentiamo parlare di dieta “BARF”, ma cosa significa?

Il termine BARF deriva dall’inglese “Bones and raw food” ovvero ossa e alimenti crudi, proprio perché questa dieta è composta di alimenti non cotti di origine animale, incluse ossa e frattaglie.

La dieta BARF si compone di ossa polpose (ovvero ossa ricoperte di carne, sono sconsigliate invece le ossa “nude” -i classici avanzi- che possono essere decisamente dannose per l’intestino), polpa di carne (intera o macinata), organi (fegato, cuore, polmoni e milza), trippa verde (importante per il mantenimento della flora batterica, da richiedere direttamente al macellaio, specificando di non “sbiancarla”, ossia di non pulirla) e verdure.

Viene integrata poi con uova, pesce e acidi grassi OMEGA-3 e variegata in base alla specie, alla taglia, alla capacità masticatoria, allo stile di vita ed ai gusti del cane o del gatto a cui è dedicata.

Nonostante sia sempre più in uso come alimento per i nostri animali, bisogna conoscere anche le insidie che una dieta cruda nasconde.

E’ necessario che chi sceglie una dieta a crudo, lo faccia con coscienza di quali sono i possibili rischi, sia per l’essere umano, che per il nostro animale.

Il maggiore rischio che una famiglia corre nel dare da mangiare cibo crudo al proprio animale è un rischio microbiologico.

I due principali batteri coinvolti in questo caso sono diversi ceppi di Listeria monocytogenes  e diversi ceppi di Salmonella.

Anche altri ceppi di batteri possono dare problemi, anche gravi, ma in genere non sono strettamente associati con l’alimentazione a crudo, quanto più con una scorretta conservazione degli alimenti e con la scelta delle materie prime.

Per Salmonella e Listeria è necessario essere ben informati prima di iniziare una dieta a crudo.

Listeria monocytogenes è un batterio particolarmente insidioso che può essere presente in diversi prodotti di origine animale, in particolare sulle superfici di carni fresche (in particolare pollo e tacchino), in salumi e prodotti carnei conservati poco stagionati, latte crudo (cioè non pastorizzato) e suoi prodotti derivati (ad esempio formaggi di latte crudo), vari prodotti della pesca (specialmente marinati e sotto sale, ma può trovarsi anche in prodotti freschi), nonché su diverse verdure e vegetali crudi (eccetto le carote, mele e pomodori che un polipeptide presente frena la crescita superficiale delle listerie).

Essendo un batterio particolarmente resistente alle normali forme di pulizia, praticamente si può trovare su tutte le superfici dei prodotti lavorati e in effetti ha una diffusione particolarmente ampia.

Listeria può causare patologia anche molto grave in soggetti immunocompromessi, dove può avere effetti anche letali. Inoltre Listeria può essere pericolosa per le donne in stato di gravidanza, dove può causare aborto.

Listeria non viene uccisa dalle temperature di refrigerazione, ma anzi, può moltiplicarsi anche sotto i 4 gradi. La temperatura dei nostri frigoriferi non è quindi in grado di fermarla. Listeria può inoltre sopravvivere alle temperature di congelamento, a seconda dei diversi tipi di alimenti che ha intorno, in particolare sopravvive più facilmente se circondata da materiale alimentare, come nel caso dei macinati. Listeria inoltre è anche abbastanza tollerante rispetto a variazioni di pH e di sale, che possono però rallentare la sua crescita.

Per prevenire la listeriosi nell’uomo è importante manipolare con accortezza le carni crude e gli altri alimenti che diamo ai nostri Amici, lavandoci le mani oppure usando dei guanti.

Oltre le generali regole di igiene, è bene ricordarci che Listeria sopravvive e si moltiplica nel nostro frigorifero e che è particolarmente resistente anche alla pulizia degli utensili. L’ideale è quindi avere degli strumenti dedicati ai vostri animali (coltello, mannaia, tagliere meglio di plastica, ma anche canovacci con cui asciugarsi le mani una volta lavate).

I sintomi principali della listeriosi negli animali sono alcuni sintomi aspecifici come nausea, vomito, diarrea e febbre. Raramente possono dimostrare sintomi neurologici. Nel caso di cagne gravide, è molto importante manipolare con cura cuccioli nati morti perché listeria può causare aborto. L’uomo contrae la listeriosi tramite ingestione quindi o tramite cibo contaminato oppure portano mani o superfici contaminate alla bocca. Buona regola è evitare il contatto di mani e utensili non disinfettati anche con gli occhi o altre mucose.

 

Salmonella spp. è una classe di batteri, composta da diverse “varianti” dette sierotipi, tutti primariamente parassiti intestinali dell’uomo e di altri vertebrati, anche se a volte possono essere trovarsi in altri tessuti (sangue, organi interni).  I principali alimenti responsabili di salmonellosi nell’uomo e negli animali sono uova crude o poco cotte, latte crudo e prodotti derivati, carne e derivati, frutta e verdura contaminate. Alcuni alimenti possono essere particolarmente pericolosi, come ad esempio la maionese.

Le salmonelle sono facilmente eliminabili tramite la cottura, dato che vengono uccise da temperature superiori a 48°. Salmonella sopravvive bene a temperature di refrigerazione (anche giorni o settimane), mentre viene uccisa da pH acidi (sotto 4). Le salmonelle raramente si trovano all’interno di un prodotto fresco non precedentemente manipolato dall’uomo, ma sono soprattutto presenti sulle superfici, dove arrivano per contaminazione fecale. Questo vuol dire che per tagli di carne interi (quindi NON macinato) e uova crude, una semplice “scottata” superficiale può ridurre il rischio salmonellosi.

Salmonella spp. si trova comunemente nel tratto digestivo di molti animali, in particolare in polli e galline. Anche se nelle Raw Diet non è comune dare interiora di pollo, dobbiamo ricordarlo quando diamo uova al nostro Amico. Anche i macinati che compriamo online possono essere contaminati, in quanto le superfici esterne tramite il processo di macinatura vengono portate all’intero, dove il batterio è protetto da grassi e proteine. I nostri Amici saranno a rischio soprattutto se i prodotti sono molto contaminati (e salmonella non dà alterazioni del colore e del gusto, per cui è difficile valutarlo) oppure se sono ad esempio in terapia con antiacidi, oppure ancora se mescoliamo carne o uova crude con degli amidi, che non permetteranno al pH dello stomaco di scendere a dovere ed uccidere le eventuali salmonelle presenti.

Oltre alle buone norme di igiene, come lavarci accuratamente le mani dopo aver manipolato carne e uova, lavare bene frutta e verdura ecc, dobbiamo tener presente che se vogliamo per qualche motivo (ad esempio presenza di bambini piccoli in famiglia, o di anziani ecc.) abbassare molto il rischio salmonella, la miglior regola da seguire ANCHE in una dieta cruda per i nostri Amici è quella di scottare la superficie della carne e di immergere le uova per un minuto e mezzo in acqua bollente.

Una dieta fatta di alimenti cucinati a tutto spessore ovviamente elimina del tutto, a meno di contaminazione successive alla cottura, le salmonelle.

La salmonella raramente riesce a superare il pH acido dello stomaco dei nostri Amici, ma nel caso passino questa barriera possono dare vomito, diarrea (anche emorragica), febbre, perdita di appetito e diminuzione dell’attività. Dobbiamo ricordare che la contaminazione è oro-fecale, quindi, oltre a maneggiare con cura gli ingredienti della dieta del nostro Amico, dobbiamo mantenere delle regole di buona igiene quando ne raccogliamo i bisogni oppure li accarezziamo.

 

Per queste ragioni una dieta cruda comunque NON è consigliabile in tutti quei casi in cui una persona appartenente al nucleo familiare abbia un sistema immunitario non ottimale (bambini, anziani, pazienti oncologici o sotto terapie immunosoppressive, donne in gravidanza… ).

Consapevolezza e conoscenza dei possibili rischi ci possono aiutare a gestire al meglio i pericoli derivanti da una dieta a crudo. Una scelta consapevole è la base necessaria su cui costruire una prevenzione ad hoc e soprattutto, per evitare danni gravi ed irreversibili, è fondamentale evitare il “fai da te” ed affidarsi ad un bravo nutrizionista Veterinario esperto in dieta a base di cibo crudo.

 

 

Per info: https://www.mariamayer.it/

Il forasacco: Un nemico subdolo!

Il forasacco: Un nemico subdolo!

La spiga o “forasacco” è l’arista delle graminacee.

Molte specie di graminacee sono presenti non solo in campi e giardini, ma anche nelle aree urbane e diventano un pericolo subdolo per i nostri animali nel periodo primaverile/estivo.

La particolarità e la pericolosità sono dovute alla caratteristica forma appuntita e lanceolata con presenza di propaggini uncinanti ed apertura “ad ombrello”; grazie a queste peculiarità la spiga si “aggrappa” al pelo dei nostri animali ed arriva alla cute attraverso il pelo, dove riesce facilmente a penetrare nel sottocute.

Oltre alla cute il forasacco può penetrare nei condotti auricolari, nelle cavità nasali, nel cavo orale, nelle congiuntive, negli spazi interdigitali, finanche nell’ apparato genitale.

La particolare disposizione delle appendici consente il movimento della spiga in una sola direzione, così essa può procedere, approfondendosi sempre più, fino a raggiungere le regioni del corpo più disparate, creando danni importanti, fino alla morte dell’animale se non estratta.

 

La sintomatologia dipende, ovviamente, dal sito di localizzazione:

Quando l’arista della graminacea penetra nel condotto auricolare, il sintomo immediato è un forte scuotimento della testa accompagnato, talvolta, da sfregamenti dell’orecchio interessato contro oggetti e/o a terra, oppure da tentativi di grattamento con gli arti; in una seconda fase l’animale tende a tenere il capo in posizione inclinata verso il lato dell’orecchio dolente.

Se il forasacco viene inalato, il sintomo principale è caratterizzato da starnuti persistenti ed intensi, ripetuti sfregamenti del muso e, frequentemente, perdita di sangue da una narice.

Purtroppo l’unico modo che il Medico Veterinario ha per escludere o confermare la presenza del corpo estraneo, e quindi rimuoverlo, è quello di eseguire un’ispezione delle narici in anestesia e con uno specifico strumento: il rinoscopio.

Non meno frequenti sono le penetrazioni nel sacco congiuntivale dell’occhio ( più frequenti nei gatti); a volte la spiga può infilarsi proprio nel bulbo dell’occhio, più spesso all’ interno della palpebra.

In questo caso ci sarà una lacrimazione anomala ed il cane avrà la tendenza a grattarsi con insistenza.
L’occhio sarà tenuto chiuso o semichiuso.

Spesso molti forasacchi si localizzano nel pelo a contatto con la cute, specialmente nello spazio interdigitale e in quest’ultimo caso potrebbe presentarsi una zoppia di vario grado o un leccamento ossessivo della parte.

Una menzione a parte merita la localizzazione bronchiale, forse la più temuta: i vegetali, in questo caso, vengono introdotti attraverso il cavo orale e, attraversata la trachea, si incastrano tra le pareti di un bronco. Qui creano una grave infezione delle vie respiratorie fino a causare degli ascessi.
Con il passare del tempo possono addirittura arrivare a bucare il tessuto polmonare e migrare in altri distretti, causando ulteriori infezioni e rendendo difficoltosa la sua rimozione.

Il sintomo classico è la tosse, intensa e persistente.

Durante i periodi a rischio il miglior metodo è quello di evitare che il proprio amico scorrazzi là dove sono presenti le spighe, ma spesso non è possibile, in quanto essendo un’erba infestante, la si trova praticamente ovunque.

Per prevenire danni da forasacchi è buona norma spazzolare immediatamente dopo la passeggiata il nostro animale, concentrandosi soprattutto nella parte inferiore.

E’ utilissimo controllare bene le zampe in mezzo alle dita, procedura che risulta più semplice se il pelo viene tenuto corto in questa parte. Non dimenticare però di ispezionare la regione ascellare, perioculare e genitale.

E’ bene controllare le orecchie, a maggior ragione nei cani con orecchie lunghe e pendule, è possibile acquistare degli specifici “paraorecchi” che limitano la possibilità di penetrazione delle spighe.

Passeggiare con i nostri amici pelosi è bellissimo, ma è importante anche in questi momenti di svago prestare molta attenzione ed una coccola in più al rientro in casa può salvare la vita!