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L’ INSUFFICIENZA MITRALICA NEL CANE

L’ INSUFFICIENZA MITRALICA NEL CANE

L’insufficienza mitralica dovuta a degenerazione mixomatosa della valvola mitrale, o degenerazione valvolare cronica è la patologia cardiaca acquisita più comune nei cani.

La valvola mitrale è posta tra l’atrio e il ventricolo sinistro. La malattia è caratterizzata da una progressiva degenerazione che deforma i lembi valvolari, impedendone la normale chiusura (insufficienza valvolare). Questo determina il reflusso di una quota di sangue in atrio sinistro (rigurgito mitralico).

Il soffio cardiaco auscultato durante la visita clinica nei pazienti con insufficienza mitralica non è altro che il rigurgito di questa porzione di sangue in atrio sinistro.

La gravità della patologia dipende dalla gravità delle lesioni valvolari e dal grado di insufficienza che ne deriva.

 

Prolasso della valvola mitrale: sintomi, intervento e conseguenze - Farmaco e Cura

 

Generalmente si presenta come una malattia a lenta progressione pur mantenendo una certa variabilità tra un individuo e l’altro. I cani affetti possono tollerare la malattia per anni.

La malattia si riscontra più comunemente nei cani di taglia piccola e media, come Cavalier King Charles Spaniels, Bassotti, Barboncini in miniatura e Yorkshire Terrier, ma i cani di qualsiasi razza possono essere colpiti.

La causa non è attualmente nota, ma è molto probabile che vi sia una predisposizione genetica e una ereditarietà allo sviluppo delle lesioni valvolari.

La diagnosi di questa patologia può essere confermata da un esame ecografico del cuore.

 

 

Una volta rilevata la malattia, la sua progressione può essere monitorata dai veterinari mediante l’esame clinico, ecografico e radiografico.

La maggior parte dei cani con patologia mitralica non presentano sintomi, ma con il progredire verso le fasi più gravi si può rilevare ridotta tolleranza all’esercizio e debolezza. I cani negli stadi più gravi della malattia possono sviluppare edema polmonare (insufficienza cardiaca congestizia/ scompenso cardiaco). L’edema polmonare è dovuto ad un accumulo di liquidi nel polmone e si manifesta con aumento del respiro o difficoltà respiratoria. I cani con segni di insufficienza cardiaca congestizia acuta sono spesso ansiosi e irrequieti durante la notte e nei casi più gravi assumono una posizione sternale e non riescono a coricarsi. Anche la tosse è un riscontro comune anche se non è un sintomo specifico di insufficienza cardiaca. Alcuni cani possono avere perdita transitoria dello stato di coscienza (sincopi). Quando la malattia è molto avanzata, anche il cuore di destra può andare incontro a scompenso con conseguente distensione dell’addome (dovuta all’accumulo di liquido in addome – ascite).

 

TGVET: Edema Polmonare nel Cane

 

La terapia è variabile a seconda della gravità della patologia e suggerita da linee guida alle quali in cardiologi veterinari si attengono.

Il proprietario può monitorare l’efficacia della terapia monitorando la frequenza respiratoria a riposo (normalmente inferiore ai 30 atti respiratoria al minuto).

Esistono anche delle applicazioni per smartphone che possono essere scaricate gratuitamente sul cellulare e possono aiutare nel monitoraggio della frequenza respiratoria a riposo.

La progressione della malattia può essere monitorata con controlli regolari.

L’insufficienza mitralica è una patologia complessa che prevede l’impostazione di una terapia cronica che sarà sempre in evoluzione. I farmaci e i relativi dosaggi dovranno essere regolarmente valutati con attenzione ed eventualmente adeguati nel tempo dallo specialista in base all’ evoluzione della patologia nel singolo paziente, al fine di aumentarne la sopravvivenza e la qualità di vita.

 

Barkyn • Il mio cane ha difficoltà a respirare: cosa faccio?

FIV e FELV: Cosa sono e quando testare i nostri gatti?

FIV e FELV: Cosa sono e quando testare i nostri gatti?

Un proprietario di gatti non può non aver mai sentito parlare di FIV e FeLV, conoscerle è importantissimo per prevenirle e proteggere così i nostri animali.

 

FeLV

Il virus della leucemia Felina (FeLV) è causa di una delle malattie infettive più temibili del gatto.

Il virus della leucemia felina è molto labile e viene distrutto in pochi minuti dagli agenti atmosferici; di conseguenza la via di contagio più comune è rappresentata dal contatto con i liquidi organici infetti,  soprattutto la saliva, ma anche secrezioni nasali, urine, feci e latte materno.

La trasmissione avviene quindi attraverso i contatti sociali o il grooming, ma può avvenire anche attraverso le ferite da morso, ed è maggiore negli ambienti ad alta densità.

In caso di femmine viremiche gravide, solitamente si ha morte embrionale o neonatale, mentre in quelle con infezione latente il virus non è solitamente trasmesso ai feti; solo raramente qualche gattino può comunque risultare positivo.

In questi casi la trasmissione può avvenire perché il virus latente può vivere in una singola ghiandola mammaria e riattivarsi.

L’infezione è più comunemente diagnosticata in gatti tra 1 e 6 anni di età. I gattini, sotto i 5 mesi di età, sono particolarmente vulnerabili a diventare persistentemente infetti. I gatti adulti sono invece più resistenti all’infezione.

Dopo il contagio oronasale, il virus si replica inizialmente a livello delle tonsille e dei tessuti linfoidi locali, poi si distribuisce ai linfociti ed al sistema linfoide fino ad essere portato al midollo osseo, all’epitelio della mucosa intestinale e respiratoria ed alle ghiandole salivari. Questo processo dura 2-4 settimane. Se il virus si localizza a livello di midollo osseo è possibile l’instaurarsi di un’infezione latente. Talvolta la viremia può svilupparsi alcuni mesi dopo una esposizione costante al virus. Il meccanismo che controlla lo sviluppo ed il mantenimento di una viremia è legato al funzionamento più o meno corretto del sistema immunitario.

Dopo che è avvenuta l’infezione, si possono sviluppare quattro risultati:

  • Il gatto può sviluppare una viremia persistente; questo si verifica in circa il 33% dei gatti esposti al virus, e la maggior parte di questi soggetti manifesteranno i segni clinici delle patologie correlate all’infezione che ne determineranno la morte entro 3-5 anni.

 

  • Nel restante 66% dei soggetti, dopo una viremia iniziale transitoria, il soggetto resiste all’evoluzione della fase viremica in persistente, probabilmente per la rapida ed efficace risposta immunitaria umorale che consente di neutralizzare il virus. Nei gatti transitoriamente infetti di solito l’infezione si risolve in 4-6 settimane dopo la penetrazione del virus.
  1.  Circa  il 33% circa dei gatti con viremia transitoria non è in grado di eliminare tutte le cellule infette entro le 4-6 settimane e sviluppa un’infezione latente. In questo caso il virus rimane “nascosto” a livello midollare e può essere  “riespresso” (sviluppo di una nuova fase viremica) in seguito a determinati stimoli o trattamenti corticosteroidi. Nei gatti con infezione latente l’infezione si estingue generalmente nell’arco di 3 anni. I soggetti con viremia transitoria non sviluppano le patologie FeLV-correlate ed il virus non può essere evidenziato nel sangue.
  2. Alcuni gatti (5%) possono sviluppare una forma localizzata dell’infezione. In questa situazione il virus è sequestrato in alcuni tessuti come il tratto gastrointestinale, milza e midollo osseo, dove però può continuare a replicarsi. Una infezione localizzata al tessuto mammario può trasmettere l’infezione ai gattini durante l’allattamento.

FeLV - Malattie Gatti - FeLV, ovvero la leucemia felina

I segni clinici più comuni delle viremia persistente di FeLV sono immunosoppressione, anemia e linfoma. Manifestazioni meno comuni sono malattie immuno-mediate, enterite cronica, disordini riproduttivi e neuropatie periferiche.

La maggior parte dei gatti persistentemente viremici muore entro 2-3 anni.

I gatti FeLV-positivi hanno un rischio di  sviluppare linfomi circa 60 volte maggiore dei gatti FeLV-negativi. Questo tumore pare possa svilupparsi in circa il 25% dei gatti infetti, solitamente giovani, di circa 2-4 anni; le forme più frequentemente diagnosticate sono quelle mediastiniche (timiche, più frequenti, o linfonodali) e multicentriche. Sebbene meno comunemente anche le forme renali, spinali e atipiche (cutanee, oculari)  possono essere osservate in animali positivi per FeLV. La forma linfomatosa meno frequentemente associata a FeLV è quella a carico dell’apparato gastroenterico. In  base a questi dati è ovvio che qualunque gatto che sviluppi un linfoma DEVE essere sottoposto a test per FeLV; ciò può essere utile anche per definire gli aspetti  prognostici della patologia.

La vaccinazione per FeLV è considerata “non-core”, cioè “non essenziale”. In molte circostanze tuttavia il vaccino per FeLV deve essere considerato parte essenziale di un buon programma di prevenzione verso le malattie infettive del gatto. Il piano di profilassi vaccinale deve però essere predisposto per il singolo paziente, sulla base del reale rischio di esposizione all’infezione, che varia con l’età, lo stato di salute, il grado di esposizione ambientale e la prevalenza geografica della patologia.

Negli ultimi 25 anni l’importanza della FeLV  si è gradualmente ridotta, grazie all’utilizzo di programmi di vaccinazione ed all’uso più esteso dei test.

 

 

 

FIV

Il virus dell’immunodeficienza felina  (FIV – Feline immunodeficiency virus) è correlato morfologicamente all’HIV dell’uomo ma è da questo antigenicamente distinto. Entrambi i virus presentano una  patogenesi  simile, caratterizzata da un lungo periodo di latenza clinica durante il quale le funzioni del sistema immunitario gradualmente si deteriorano. Al termine del periodo di latenza può svilupparsi la fase di Immunodeficienza Acquisita (AIDS) che è accompagnata da infezioni opportunistiche, malattie sistemiche direttamente od indirettamente correlate alla presenza del virus e neoplasie.

La trasmissione è soprattutto orizzontale e diretta tra gatti adulti attraverso i morsi durante le lotte e i combattimenti. Studi epidemiologici hanno dimostrato che la prevalenza della FIV è influenzata dal comportamento: l’infezione è quindi più frequente tra i gatti maschi che vivono all’aperto o che hanno la possibilità di uscire da casa. Il 78% dei soggetti è giovane-adulto al momento della diagnosi (2-5 anni);  il virus non è caratterizzato da un’elevata contagiosità, quindi la presenza di più gatti nello stesso ambiente domestico non aumenta la probabilità di contagio a condizione che non vi siano conflitti territoriali.  Altre vie di trasmissione sono molto meno importanti (leccamento, uso in comune di lettiere e ciotole, allattamento, transplacentare). Curiosamente la trasmissione sessuale, che è la via più comune di infezione nell’uomo, appare inusuale nel gatto. La trasmissione verticale si verifica principalmente nelle gatte che vengono infettate nelle fasi precoci della gravidanza.

Il FIV raramente induce  direttamente una malattia. Spesso è una infezione opportunista che causa i segni clinici; l’infezione progredisce attraverso diversi stadi:

  • La prima fase, che è quella primaria dell’infezione, è caratterizzata da sintomi clinici di gravità variabile quali febbre, diarrea, congiuntivite e aumento delle dimensioni dei linfonodi. Molto spesso queste manifestazioni durano poco e passano inosservate. Agli esami di laboratorio si possono tuttavia riscontrare linfopenia e neutropenia marcata.

La gravità dei sintomi della fase primaria varia con l’età: i gattini neonati sviluppano la più grave e persistente linfoadenopatia, mentre i gatti anziani mostrano segni clinici minimi di malattia anche se vanno incontro allo stadio successivo più rapidamente. La mortalità durante la fase iniziale e bassa. Dopo questo stadio solo alcuni soggetti possono sviluppare una linfoadenopatia generalizzata marcata e persistente anche alcuni mesi, che crea diversi problemi dal punto di vista diagnostico in quanto citologicamente può essere talvolta scambiata per una patologia linfoproliferativa.

 

  • La maggior parte dei gatti, terminata la fase acuta, entra nel periodo di latenza dove clinicamente non vi sono alterazioni di rilievo. Questo periodo può durare anni (5-10 anni) e la sua evoluzione verso lo stadio finale dipende da diversi fattori  comprendenti l’età e lo stato di salute del paziente nelle prime fasi dell’infezione, la dose e la via di inoculazione del virus, ed infine le condizioni immunitarie del soggetto.

In linea generale gatti che vengono infettati da cuccioli progrediscono verso lo stadio terminale più velocemente di quelli infettati in età adulta.  Inoltre anche il tipo di vita che conduce l’animale e la possibilità che venga esposto ad altri agenti infettivi riveste una  certa importanza. Infatti tale esposizione può portare ciclicamente ad una attivazione del sistema immunitario e conseguente riattivazione del virus. In questi casi il periodo asintomatico può ridursi a qualche anno.

 

  • Stadio avanzato: i soggetti che entrano nello stadio avanzato della malattia soffrono della sindrome d’immunodeficienza e possono presentare infezioni croniche od opportunistiche. Le malattie più spesso diagnosticate sono la sindrome  stomatite/gengivite/faucite, alterazioni midollari quali anemia e leucopenia, insufficienza renale, altre infezioni opportunistiche (micosi, herpesvirosi, infezioni batteriche, sinusiti, etc), infiammazioni oculari e, meno frequentemente, neoplasie, principalmente linfomi alimentari.

La comparsa di gravi patologie cutanee, parassitarie o micotiche in un gatto adulto devono SEMPRE allertare sulla possibilità che il paziente sia immunodepresso e quindi portare all’esecuzione del test per FIV e FeLV.

Le patologie a carico sia del sistema nervoso centrale che periferico frequentemente complicano il decorso della FIV, possono manifestarsi alterazioni quali sindromi convulsive, alterazioni di comportamento, anisocoria e paresi.

Le stomatiti croniche ulcerative sono la manifestazione più comune nei gatti infetti dal  virus da molto tempo. Questa sindrome pare però verificarsi solo in gatti che sono stati esposti ad altri agenti infettivi oltre che al FIV. L’infezione concomitante più frequentemente identificata nei pazienti con stomatiti FIV-associate è quella da calicivirus che  è quindi considerata un co-fattore nella possibile induzione della sindrome, anche se il meccanismo di sviluppo della patologia non è completamente noto. Sono stati segnalati anche disordini riproduttivi nei gatti infettati da FIV ed essi sono solitamente imputabili alla presenza del virus nei tessuti fetali e placentari. Infine sempre più pubblicazioni riportano il coinvolgimento renale associato a più o meno marcata proteinuria. Il danno renale nei gatti FIV infetti è provocato da lesioni che si verificano sia per la presenza diretta del virus, che come conseguenza di lesioni immunomediate.

Il controllo delle abitudini del gatto rappresenta l’unica forma di profilassi nei confronti dell’infezione da FIV, in quanto attualmente  è disponibile, ma non in Italia,  un unico vaccino di cui peraltro non è ancora nota la reale efficacia. Un gatto che vive in casa e non ha la possibilità di uscire all’esterno non sarà mai soggetto all’infezione da FIV (o da FeLV).

L’immunizzazione dei soggetti FIV positivi contro altri agenti (FHV, FCV, FeLV) è invece indicata in quanto questi gatti sono candidati a contrarre infezioni secondarie e opportunistiche. Inoltre i pazienti FIV positivi andrebbero isolati in modo da non avere contatti con altri soggetti. Il proprietario deve segnalare al veterinario qualsiasi segno clinico eventualmente insorto, in modo da trattare precocemente disturbi potenzialmente gravi. Inoltre deve essere in grado di esaminare le gengive (per evidenziare ittero o pallore delle mucose), di palpare i linfonodi e di controllare i caratteri della minzione e della defecazione del soggetto.

 

Idexx - Test SNAP FeLV/FIV Combo

TEST FIV FELV?

Recentemente il Journal of Feline Medicine and Surgery ha pubblicato un aggiornamento sulle retrovirosi feline, con le relative linee guida per la gestione clinica (Little et al, Journal of Feline Medicine and Surgery 2020; 22: 5–30) e diagnostica.

Le infezioni da FeLV (virus delle leucemia felina) e FIV (virus dell’immunodeficienza felina) sono sicuramente le più comuni cause di malattie infettive dei gatti domestici. La sieroprevalenza è molto variabile e dipende dall’età, sesso, stile di vita, condizioni fisiche e localizzazione geografica prese in considerazione.

Una diagnosi accurata della presenza dell’infezione è importante sia per i gatti infetti che per quelli non–infetti. L’insuccesso o l’errore nella diagnosi dei gatti infetti può portare da una parte alla libera circolazione di soggetti portatori che possono trasmettere il virus, dall’altra alla eutanasia di soggetti sani.

La base per la diagnosi clinica di FeLV e FIV è la presenza dell’antigene circolante (FeLV), degli anticorpi (FIV) e degli acidi nucleici (PCR).

 

FeLV

La FeLV è caratterizzata da un carico antigenico rilevante; di conseguenza i test che valutano la presenza dell’antigene circolante FeLV p27 sono scarsamente  influenzati da fattori esterni quali la presenza di anticorpi di origine materna.

I test standard ricercano l’antigene p27 circolante nel sangue del paziente.

Le circostanze che devono indurre ad eseguire i test per la diagnosi dell’infezione sostenuta da FeLV sono molteplici:

  • ogni volta che ci si trovi di fronte ad un soggetto malato, indipendentemente dall’età, dall’esito negativo dei test eseguiti in precedenza e dalle vaccinazioni effettuate. Si deve, infatti, ricordare che l’infezione sostenuta da FeLV è associata ad una vasta gamma di manifestazioni cliniche;

 

  • qualora un gatto di cui non si conosca lo status epidemiologico venga introdotto in un ambiente domestico in cui non siano presenti altri felini, si impone comunque l’esecuzione dei test poiché il soggetto, anche se al momento sano, potrebbe manifestare la malattia in tempi successivi. Inoltre, sebbene mantenuto in casa, tale soggetto potenzialmente infetto potrebbe fuggire e rappresentare un rischio di esposizione all’infezione per i suoi simili.

 

Il controllo periodico, inoltre, viene consigliato per quei soggetti che siano da ritenersi continuamente a rischio di esposizione all’infezione, come i gatti con libero accesso all’ambiente esterno o i soggetti randagi.

Nel caso in cui si sospetti un avvenuto contatto con il virus, il mancato riscontro di positività mediante i test comunemente impiegati nella diagnosi delle infezioni da FeLV deve comunque indurre il medico veterinario a riesaminare l’animale a distanza di circa un mese dall’ultima potenziale esposizione all’infezione, poichè durante lo stadio pre-viremico della malattia gli esami potrebbero dare esito negativo.

 

Un risultato Positivo ad un test ELISA od Immunocromatografico indica una di queste situazioni:

  • Gatto persistentemente viremico. Se il gatto non riesce ad eliminare il virus nell’arco di 12 settimane dal momento dell’infezione, egli rimarrà infetto. Questi gatti sono suscettibili a sviluppare entro alcuni anni una delle patologie FeLV-associate; inoltre sono un rischio per gli altri gatti perchè eliminano il virus nell’ambiente.
  • Gatto con viremia transitoria. In seguito ad una pronta risposta immunitaria il gatto elimina il virus; dopo 4-6 settimane, gatti con viremia transitoria possono divenire FeLV-negativi; di conseguenza, in ogni gatto FeLV-positivo, l’esame andrebbe ripetuto dopo 6-8 settimane. In altre parole, nessun gatto dovrebbe essere soppresso sulla base di una singola positività al test.
  • Gatto falso positivo o risultato discordante. Ogni risultato positivo in un gatto sano deve far nascere dei dubbi; in particolare tali attenzioni vanno rivolte a quei soggetti che vivono in popolazioni feline a bassissimo rischio, quali i gatti di allevamento o quelli che vivono isolati in appartamento. In questi gruppi di gatti il rischio di un esame FALSO POSITIVO  può arrivare al 50%. Quando si sospetta un risultato falso  positivo, il test va ripetuto in un laboratorio commerciale segnalando con quale test si è ottenuto il primo risultato. Se il risultato è confermato si ritiene il soggetto positivo. Se il risultato è discordante si può ricorrere ad altre indagini.
  • Fino al 30% dei gatti risultati positivi all’ELISA può non essere viremico, ma presentare un’infezione locale a livello di ghiandole mammarie o salivari o dei relativi linfonodi regionali. In questi casi è consigliabile sottoporre il soggetto ad un controllo dopo 6-8 settimane con l’ELISA o con l’IFA.

 

 

Un risultato Negativo ad un test ELISA od Immunocromatografico può significare:

  • gatto non esposto
  • gatto con infezione precedente, ma eliminata
  • infezione precoce, quindi non ancora evidenziabile
  • infezione latente
  • infezione localizzata
  • falso negativo:Un test può essere falsamente negativo se il gatto è stato infettato ma non si è ancora sviluppata una viremia evidenziabile dal test. Perchè un test venga positivo solitamente sono necessarie almeno 2-4 settimane dal momento dell’infezione. I soggetti che vivono all’aperto dovrebbero essere isolati almeno 28 giorni prima dell’esecuzione del test, e ricontrollati dopo 90 giorni, dato che alcuni animali impiegano molto più tempo per sviluppare una viremia.

 

 

 

FIV

I test impiegati per diagnosticare l’infezione da FIV sono basati sul rilevamento degli anticorpi prodotti contro il virus in quanto il FIV non produce quantità di particelle virali sufficienti ad essere rilevate nel sangue o in altri fluidi mediante i test immunologici di routine. Lo standard dei test diagnostici utilizza i sistemi ELISA o in Immonocromatografia per evidenziare gli anticorpi circolanti nel siero dei pazienti e vi sono ormai molti differenti prodotti commerciali.

 

La sieroconversione si realizza  2-4 settimane dopo l’infezione e quindi dopo questo periodo gli anticorpi saranno evidenziabili con i test.  La maggior parte dei kit diagnostici in commercio sono estremamente sensibili: i risultati falsi-negativi sono rari, mentre false positività possono verificarsi in circa un terzo dei gatti se la sieroprevalenza di popolazione è molto bassa. Per questo motivo un soggetto ELISA positivo, specialmente se sano,  andrebbe ritestato con il test western blot.

 

Un test Positivo può indicare tre situazioni:

  • Gatto persistentemente infetto; gli anticorpi anti-FIV sono associati con l’infezione a vita con questo virus.
  • Gattino nato da madre infetta: è bene ricordare che sebbene un soggetto partorito da una femmina positiva sia difficilmente infetto, egli ha sicuramente assorbito tramite il colostro gli anticorpi materni contro il FIV. Testando questo gattino avremo un risultato falso-positivo poiché i test normalmente utilizzati (ELISA, immunocromatografia) evidenziano gli anticorpi, e gli Anticorpi materni possono perdurare per molti mesi prima di declinare, almeno 4 mesi. Ci vogliono poi altri 2 mesi perché avvenga una sieroconversione se il soggetto è stato infettato. Su questa base una diagnosi di FIV non può essere effettuata nel gattino, evidenziando gli anticorpi,  prima del compimento dei 6 mesi di età.
  • Risultato falso positivo. Nessun test è accurato al 100%, per cui è necessario sempre valutare le caratteristiche cliniche e sociali del soggetto testato. Un esame positivo in un gatto con pochissime possibilità di essere infetto (gatto di allevamento mai uscito di casa) presenta sino al 50% di possibilità di essere un falso positivo.

 

 

Un test Negativo può indicare una delle tre possibilità:

  • il gatto non è infetto
  • il gatto è infetto con FIV ma ha anticorpi non evidenziabili al test.
  • il gatto è infetto da FIV ma non produce anticorpi o non li ha ancora prodotti. Ciò si può verificare in pazienti molto ammalati od allo stadio finale dell’infezione, od in gatti in fase acuta di infezione (meno di due mesi post-infezione). In quest’ultimo caso, se è noto il momento dell’evento traumatico (morso), è necessario ritestare il soggetto da 6 a 8 settimane più tardi.
Come comportarsi davanti ad un animale abbandonato?

Come comportarsi davanti ad un animale abbandonato?

Come comportarsi di fronte a un animale abbandonato o maltrattato? Qual è il modo più corretto per intervenire e aiutarlo?

 

Si stima che ogni anno in Italia siano abbandonati una media di 80.000 gatti e 50.000 cani, più dell’80% dei quali rischia di morire in incidenti, di stenti o a causa di maltrattamenti.

L’abbandono è un reato punito con l’arresto fino a un anno o con una multa fino a 10.000 euro.

Durante l’estate il fenomeno dell’abbandono degli animali raggiunge il suo picco, bisogna però rassegnarsi al fatto che purtroppo gli abbandoni non si verificano solo tra giugno e settembre, ma durante tutto l’anno.

Non è quindi così improbabile che possa capitare di essere testimone di un abbandono, o di trovare sul ciglio di una strada un cane legato col guinzaglio o di un animale ferito o in difficoltà. Come comportarsi? Il primo soccorso è fondamentale per l’incolumità dell’animale.

Bisogna poi attivarsi, senza trasgredire nessuna legge, e sapere quale associazione o Corpo di Polizia contattare per intervenire tempestivamente.

Se dovessimo trovare un animale abbandonato, la prima cosa da fare è contattare la Polizia Municipale del Comune competente; l’intervento potrà essere diretto, oppure ad opera della Asl veterinaria di zona o del volontariato animalista: la Legge n.281 del 1991, infatti, obbliga i Comuni a intervenire e vieta che l’animale possa essere soppresso. Se si trattasse di un animale domestico che si è smarrito, allora sarà possibile contattare il padrone tramite il microchip.

In caso dovessi avvistare qualcuno scaricare un animale dalla propria auto, cerca di annotarti subito il numero di targa e denuncia il fatto! Puoi telefonare a un’associazione animalista, che non mancherà nell’aiutarti e spiegarti come procedere nell’atto di denuncia. Il maltrattamento, e quindi anche l’abbandono, degli animali è un reato penale. La segnalazione può essere fatta anche all’ENPA (www.enpa.it), l’Ente Nazionale Protezione Animali, che potrà costituirsi parte civile (Tel. 06 3242873).

 

Secondo il nuovo Codice della Strada (Art. 189), gli animali investiti devono essere soccorsi obbligatoriamente. Se ti trovi in autostrada, prendi nota del numero riportato sul primo cartello chilometrico che incontri e raggiungi la prima Area Servizio sulla strada. Da qui sarà possibile contattare la Polizia Stradale, la Polizia di Stato (113), il Pronto Soccorso (118), i Carabinieri (112), la Guardia di Finanza (117) o anche il Corpo Forestale (1515).

 

In caso dovessimo imbatterci in un animale selvatico in difficoltà, l’ideale è contattare un CRAS (Centri di Recupero per Animali Selvatici  www.recuperoselvatici.it), con cui bisognerebbe mettersi in contatto.

Altri contatti utili in caso di ritrovamenti di animali abbandonati o in difficoltà:

Corpo Forestale 1515

LIPU Lega Italiana Protezione Uccelli 0521 273043

WWF (Sede Nazionale di Roma 06 844 971, Sede Nazionale di Milano 02 831 332 28)

A.R.F. Associazione Recupero Fauna

Mondo Carota (Specializzati in conigli) https://www.mondocarota.it/contatti/

Tutela Pipistrelli (Specializzati in pipistrelli) https://www.tutelapipistrelli.it/contatti/

Tartamondo (Specializzati in tartarughe) http://tartamondo.it/index.php/contatti-2/

Milanonatura https://www.milanonatura.it/hai-trovato-un-riccio

Sosricci http://www.sosricci.it/cosafare.html

Quando avvistiamo un animale in una situazione di pericolo, sul ciglio di una strada o in un altro luogo pericoloso, è importante subito metterlo al sicuro, senza rischiare noi stessi, dopo di che si potrà capire se sono necessarie le prime cure (riscaldarlo, alimentarlo o abbeverarlo).

Non giriamoci dall’altra parte ed il mondo potrà essere migliore.

Che cos’è la dieta BARF?

Che cos’è la dieta BARF?

Sempre più spesso sentiamo parlare di dieta “BARF”, ma cosa significa?

Il termine BARF deriva dall’inglese “Bones and raw food” ovvero ossa e alimenti crudi, proprio perché questa dieta è composta di alimenti non cotti di origine animale, incluse ossa e frattaglie.

La dieta BARF si compone di ossa polpose (ovvero ossa ricoperte di carne, sono sconsigliate invece le ossa “nude” -i classici avanzi- che possono essere decisamente dannose per l’intestino), polpa di carne (intera o macinata), organi (fegato, cuore, polmoni e milza), trippa verde (importante per il mantenimento della flora batterica, da richiedere direttamente al macellaio, specificando di non “sbiancarla”, ossia di non pulirla) e verdure.

Viene integrata poi con uova, pesce e acidi grassi OMEGA-3 e variegata in base alla specie, alla taglia, alla capacità masticatoria, allo stile di vita ed ai gusti del cane o del gatto a cui è dedicata.

Nonostante sia sempre più in uso come alimento per i nostri animali, bisogna conoscere anche le insidie che una dieta cruda nasconde.

E’ necessario che chi sceglie una dieta a crudo, lo faccia con coscienza di quali sono i possibili rischi, sia per l’essere umano, che per il nostro animale.

Il maggiore rischio che una famiglia corre nel dare da mangiare cibo crudo al proprio animale è un rischio microbiologico.

I due principali batteri coinvolti in questo caso sono diversi ceppi di Listeria monocytogenes  e diversi ceppi di Salmonella.

Anche altri ceppi di batteri possono dare problemi, anche gravi, ma in genere non sono strettamente associati con l’alimentazione a crudo, quanto più con una scorretta conservazione degli alimenti e con la scelta delle materie prime.

Per Salmonella e Listeria è necessario essere ben informati prima di iniziare una dieta a crudo.

Listeria monocytogenes è un batterio particolarmente insidioso che può essere presente in diversi prodotti di origine animale, in particolare sulle superfici di carni fresche (in particolare pollo e tacchino), in salumi e prodotti carnei conservati poco stagionati, latte crudo (cioè non pastorizzato) e suoi prodotti derivati (ad esempio formaggi di latte crudo), vari prodotti della pesca (specialmente marinati e sotto sale, ma può trovarsi anche in prodotti freschi), nonché su diverse verdure e vegetali crudi (eccetto le carote, mele e pomodori che un polipeptide presente frena la crescita superficiale delle listerie).

Essendo un batterio particolarmente resistente alle normali forme di pulizia, praticamente si può trovare su tutte le superfici dei prodotti lavorati e in effetti ha una diffusione particolarmente ampia.

Listeria può causare patologia anche molto grave in soggetti immunocompromessi, dove può avere effetti anche letali. Inoltre Listeria può essere pericolosa per le donne in stato di gravidanza, dove può causare aborto.

Listeria non viene uccisa dalle temperature di refrigerazione, ma anzi, può moltiplicarsi anche sotto i 4 gradi. La temperatura dei nostri frigoriferi non è quindi in grado di fermarla. Listeria può inoltre sopravvivere alle temperature di congelamento, a seconda dei diversi tipi di alimenti che ha intorno, in particolare sopravvive più facilmente se circondata da materiale alimentare, come nel caso dei macinati. Listeria inoltre è anche abbastanza tollerante rispetto a variazioni di pH e di sale, che possono però rallentare la sua crescita.

Per prevenire la listeriosi nell’uomo è importante manipolare con accortezza le carni crude e gli altri alimenti che diamo ai nostri Amici, lavandoci le mani oppure usando dei guanti.

Oltre le generali regole di igiene, è bene ricordarci che Listeria sopravvive e si moltiplica nel nostro frigorifero e che è particolarmente resistente anche alla pulizia degli utensili. L’ideale è quindi avere degli strumenti dedicati ai vostri animali (coltello, mannaia, tagliere meglio di plastica, ma anche canovacci con cui asciugarsi le mani una volta lavate).

I sintomi principali della listeriosi negli animali sono alcuni sintomi aspecifici come nausea, vomito, diarrea e febbre. Raramente possono dimostrare sintomi neurologici. Nel caso di cagne gravide, è molto importante manipolare con cura cuccioli nati morti perché listeria può causare aborto. L’uomo contrae la listeriosi tramite ingestione quindi o tramite cibo contaminato oppure portano mani o superfici contaminate alla bocca. Buona regola è evitare il contatto di mani e utensili non disinfettati anche con gli occhi o altre mucose.

 

Salmonella spp. è una classe di batteri, composta da diverse “varianti” dette sierotipi, tutti primariamente parassiti intestinali dell’uomo e di altri vertebrati, anche se a volte possono essere trovarsi in altri tessuti (sangue, organi interni).  I principali alimenti responsabili di salmonellosi nell’uomo e negli animali sono uova crude o poco cotte, latte crudo e prodotti derivati, carne e derivati, frutta e verdura contaminate. Alcuni alimenti possono essere particolarmente pericolosi, come ad esempio la maionese.

Le salmonelle sono facilmente eliminabili tramite la cottura, dato che vengono uccise da temperature superiori a 48°. Salmonella sopravvive bene a temperature di refrigerazione (anche giorni o settimane), mentre viene uccisa da pH acidi (sotto 4). Le salmonelle raramente si trovano all’interno di un prodotto fresco non precedentemente manipolato dall’uomo, ma sono soprattutto presenti sulle superfici, dove arrivano per contaminazione fecale. Questo vuol dire che per tagli di carne interi (quindi NON macinato) e uova crude, una semplice “scottata” superficiale può ridurre il rischio salmonellosi.

Salmonella spp. si trova comunemente nel tratto digestivo di molti animali, in particolare in polli e galline. Anche se nelle Raw Diet non è comune dare interiora di pollo, dobbiamo ricordarlo quando diamo uova al nostro Amico. Anche i macinati che compriamo online possono essere contaminati, in quanto le superfici esterne tramite il processo di macinatura vengono portate all’intero, dove il batterio è protetto da grassi e proteine. I nostri Amici saranno a rischio soprattutto se i prodotti sono molto contaminati (e salmonella non dà alterazioni del colore e del gusto, per cui è difficile valutarlo) oppure se sono ad esempio in terapia con antiacidi, oppure ancora se mescoliamo carne o uova crude con degli amidi, che non permetteranno al pH dello stomaco di scendere a dovere ed uccidere le eventuali salmonelle presenti.

Oltre alle buone norme di igiene, come lavarci accuratamente le mani dopo aver manipolato carne e uova, lavare bene frutta e verdura ecc, dobbiamo tener presente che se vogliamo per qualche motivo (ad esempio presenza di bambini piccoli in famiglia, o di anziani ecc.) abbassare molto il rischio salmonella, la miglior regola da seguire ANCHE in una dieta cruda per i nostri Amici è quella di scottare la superficie della carne e di immergere le uova per un minuto e mezzo in acqua bollente.

Una dieta fatta di alimenti cucinati a tutto spessore ovviamente elimina del tutto, a meno di contaminazione successive alla cottura, le salmonelle.

La salmonella raramente riesce a superare il pH acido dello stomaco dei nostri Amici, ma nel caso passino questa barriera possono dare vomito, diarrea (anche emorragica), febbre, perdita di appetito e diminuzione dell’attività. Dobbiamo ricordare che la contaminazione è oro-fecale, quindi, oltre a maneggiare con cura gli ingredienti della dieta del nostro Amico, dobbiamo mantenere delle regole di buona igiene quando ne raccogliamo i bisogni oppure li accarezziamo.

 

Per queste ragioni una dieta cruda comunque NON è consigliabile in tutti quei casi in cui una persona appartenente al nucleo familiare abbia un sistema immunitario non ottimale (bambini, anziani, pazienti oncologici o sotto terapie immunosoppressive, donne in gravidanza… ).

Consapevolezza e conoscenza dei possibili rischi ci possono aiutare a gestire al meglio i pericoli derivanti da una dieta a crudo. Una scelta consapevole è la base necessaria su cui costruire una prevenzione ad hoc e soprattutto, per evitare danni gravi ed irreversibili, è fondamentale evitare il “fai da te” ed affidarsi ad un bravo nutrizionista Veterinario esperto in dieta a base di cibo crudo.

 

 

Per info: https://www.mariamayer.it/

Il forasacco: Un nemico subdolo!

Il forasacco: Un nemico subdolo!

La spiga o “forasacco” è l’arista delle graminacee.

Molte specie di graminacee sono presenti non solo in campi e giardini, ma anche nelle aree urbane e diventano un pericolo subdolo per i nostri animali nel periodo primaverile/estivo.

La particolarità e la pericolosità sono dovute alla caratteristica forma appuntita e lanceolata con presenza di propaggini uncinanti ed apertura “ad ombrello”; grazie a queste peculiarità la spiga si “aggrappa” al pelo dei nostri animali ed arriva alla cute attraverso il pelo, dove riesce facilmente a penetrare nel sottocute.

Oltre alla cute il forasacco può penetrare nei condotti auricolari, nelle cavità nasali, nel cavo orale, nelle congiuntive, negli spazi interdigitali, finanche nell’ apparato genitale.

La particolare disposizione delle appendici consente il movimento della spiga in una sola direzione, così essa può procedere, approfondendosi sempre più, fino a raggiungere le regioni del corpo più disparate, creando danni importanti, fino alla morte dell’animale se non estratta.

 

La sintomatologia dipende, ovviamente, dal sito di localizzazione:

Quando l’arista della graminacea penetra nel condotto auricolare, il sintomo immediato è un forte scuotimento della testa accompagnato, talvolta, da sfregamenti dell’orecchio interessato contro oggetti e/o a terra, oppure da tentativi di grattamento con gli arti; in una seconda fase l’animale tende a tenere il capo in posizione inclinata verso il lato dell’orecchio dolente.

Se il forasacco viene inalato, il sintomo principale è caratterizzato da starnuti persistenti ed intensi, ripetuti sfregamenti del muso e, frequentemente, perdita di sangue da una narice.

Purtroppo l’unico modo che il Medico Veterinario ha per escludere o confermare la presenza del corpo estraneo, e quindi rimuoverlo, è quello di eseguire un’ispezione delle narici in anestesia e con uno specifico strumento: il rinoscopio.

Non meno frequenti sono le penetrazioni nel sacco congiuntivale dell’occhio ( più frequenti nei gatti); a volte la spiga può infilarsi proprio nel bulbo dell’occhio, più spesso all’ interno della palpebra.

In questo caso ci sarà una lacrimazione anomala ed il cane avrà la tendenza a grattarsi con insistenza.
L’occhio sarà tenuto chiuso o semichiuso.

Spesso molti forasacchi si localizzano nel pelo a contatto con la cute, specialmente nello spazio interdigitale e in quest’ultimo caso potrebbe presentarsi una zoppia di vario grado o un leccamento ossessivo della parte.

Una menzione a parte merita la localizzazione bronchiale, forse la più temuta: i vegetali, in questo caso, vengono introdotti attraverso il cavo orale e, attraversata la trachea, si incastrano tra le pareti di un bronco. Qui creano una grave infezione delle vie respiratorie fino a causare degli ascessi.
Con il passare del tempo possono addirittura arrivare a bucare il tessuto polmonare e migrare in altri distretti, causando ulteriori infezioni e rendendo difficoltosa la sua rimozione.

Il sintomo classico è la tosse, intensa e persistente.

Durante i periodi a rischio il miglior metodo è quello di evitare che il proprio amico scorrazzi là dove sono presenti le spighe, ma spesso non è possibile, in quanto essendo un’erba infestante, la si trova praticamente ovunque.

Per prevenire danni da forasacchi è buona norma spazzolare immediatamente dopo la passeggiata il nostro animale, concentrandosi soprattutto nella parte inferiore.

E’ utilissimo controllare bene le zampe in mezzo alle dita, procedura che risulta più semplice se il pelo viene tenuto corto in questa parte. Non dimenticare però di ispezionare la regione ascellare, perioculare e genitale.

E’ bene controllare le orecchie, a maggior ragione nei cani con orecchie lunghe e pendule, è possibile acquistare degli specifici “paraorecchi” che limitano la possibilità di penetrazione delle spighe.

Passeggiare con i nostri amici pelosi è bellissimo, ma è importante anche in questi momenti di svago prestare molta attenzione ed una coccola in più al rientro in casa può salvare la vita!

EMERGENZA COVID 19 – CLINICA SAN MAURIZIO

EMERGENZA COVID 19 – CLINICA SAN MAURIZIO

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La clinica San Maurizio, rispettando il Dpcm 11 marzo 2020, effettua SOLO PRESTAZIONI DI COMPROVATA URGENZA fino a data da destinarsi.

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Fatelo per Voi, fatelo per Loro, fatelo per noi: state al sicuro 💕

Animali ed allergia

Animali ed allergia

La dermatite atopica è una malattia cutanea infiammatoria e pruriginosa in cui le caratteristiche cliniche sono comunemente associate alla presenza di IgE (un tipo di anticorpi) dirette contro gli allergeni ambientali.

Gli allergeni associati con maggiore frequenza a reazioni allergiche o di ipersensibilità sono pollini, acari ambientali, alimenti, farmaci e altri composti chimici che possono agire da allergeni.

Le vie attraverso le quali un animale entra in contatto con tali agenti sono quella transcutanea, digestiva e inalatoria.

Nel caso della dermatite atopica esiste una predisposizione genetica verso la malattia ed è necessario un contatto ripetuto con gli allergeni coinvolti.

Quali sono i sintomi più comuni?

Senza dubbio, il sintomo più caratteristico è il prurito intenso. In secondo luogo, l’animale presenta lesioni, infezioni secondarie o perdita di pelo.

Le lesioni possono comparire su viso, parte ventrale del collo, ascelle, inguine, addome e superfici dorsali e ventrali delle zampe. In molti casi, l’otite esterna può essere l’unico segno clinico evidente.

Quali sono le allergie più comuni note?

  • Dermatite allergica da pulci (DAP):
    è l’allergia più comune nei cani. Il problema può essere risolto solo mediante un controllo rigoroso delle pulci, sia sull’animale che nell’ambiente in cui vive.
  • Dermatite atopica:
    con questo nome si designa l’allergia causata da allergeni ambientali, come pollini o acari. La dermatite atopica del cane (DAC) è una sindrome complessa e multifattoriale, in cui la genetica dell’individuo e il suo rapporto con gli allergeni coinvolti rivestono un ruolo fondamentale.
    La sintomatologia compare generalmente tra i 6 mesi e i 3 anni di vita. Solitamente gli animali colpiti presentano prurito su viso, parte ventrale del collo, ascelle, inguine, addome e superficie dorsale e ventrale degli arti distali. In molti casi, l’otite esterna può esserne l’unico segno clinico.
  • Allergia alimentare (reazione avversa all’alimento):
    alcuni componenti della dieta alimentare possono essere la causa della condizione allergica del paziente, nel quale si possono osservare segni digestivi concomitanti. L’eliminazione dalla dieta dell’alimento o dell’ingrediente dannoso è l’unico modo per evitare i sintomi.

 

ALLERGIA AGLI ACARI

Gli acari sono piccoli artropodi della famiglia dalla zecca e del ragno di dimensioni inferiori a 0,3 mm. In particolare, gli acari responsabili del maggior numero di allergie sono quelli della polvere (Dermatophagus pteronyssinus e Dermatophagoides farinae) e quelli delle derrate alimentari (Tyrophagus putrescentiae, Lepidoglyphus destructor e Acarus siro).

Acari della polvere

Gli acari della polvere prendono il nome dalla loro fonte di cibo preferita: le squame cutanee (“dermato” = “pelle” e “phagos” = “mangiare”, da cui “mangiatori di pelle”). Le condizioni del loro habitat sono di solito temperatura pari a 20ºC e umidità relativa superiore al 70%. Si trovano in cuscini, materassi e tappeti domestici. La concentrazione nelle case di acari della polvere aumenta durante i periodi di cambio di stagione (primavera, autunno) caratterizzati da precipitazioni e temperature miti, e di solito diminuisce durante l’estate (clima secco e caldo) e l’inverno (clima freddo e secco). Gli allergeni degli acari più frequentemente responsabili di allergie si trovano sia nel loro corpo che nelle loro feci.

Acari delle derrate alimentari

Gli acari delle derrate alimentari si trovano molto comunemente negli alimenti secchi conservati (mangimi secchi, cereali, legumi, semi, frutta) e, soprattutto, negli alimenti ricchi di grassi e proteine. All’interno delle case è possibile trovarli soprattutto in cucina e in bagno, in quanto traggono beneficio dall’umidità.

Consigli per ridurre l’esposizione domestica agli acari

  • Eliminare dalla casa tappeti o moquette, soprattutto dalla cuccia dell’animale, o utilizzare tappeti lavabili di piccole dimensioni.
  • Sostituire con materiali sintetici il materiale della cuccia se contiene lana, cotone, crine o piume.
  • Lavare la biancheria della cuccia dell’animale con acqua calda (>60ºC) ogni 15 giorni.
  • Areare la casa ogni giorno e passare almeno una volta alla settimana l’aspirapolvere nella zona in cui dorme l’animale.
  • Nella routine di pulizia quotidiana della casa è possibile aggiungere un ectoparassiticida nel sacchetto dell’aspirapolvere. Utilizzare l’aspirapolvere quando l’animale non è presente.
  • Utilizzare prodotti acaricidi ogni 3 mesi nei luoghi della casa accessibili all’animale.
  • Tenere il cibo fresco e asciutto, lontano da zone umide, ed evitare l’ingresso di acqua nel piatto dell’animale.
  • Evitare la contaminazione del mangime secco con acari delle derrate alimentari sostituendo frequentemente i sacchi di mangime ed esponendoli il meno possibile ad umidità elevata.
  • Fare il bagno all’animale, in quanto ciò aiuta ad eliminare gli allergeni depositati sulla pelle.

È importante ricordare che queste misure possono contribuire a ridurre l’esposizione agli acari. Tuttavia, la loro completa eliminazione dall’ambiente è praticamente impossibile.

ALLERGIA AI POLLINI NEGLI ANIMALI

Polline delle graminacee

Le graminacee sono una famiglia molto numerosa di piante che crescono non solo su praterie e pascoli, ma anche in aree detritiche, su suoli coltivati o abbandonati o lungo il ciglio della strada; vale a dire, quasi ovunque, dal livello del mare alle zone montuose. Le graminacee si trovano generalmente in qualsiasi giardino e sono responsabili della maggior parte delle allergie polliniche.

Sebbene la massima impollinazione avvenga nei mesi di aprile, maggio e giugno, nel nostro paese è possibile rilevare i pollini delle graminacee 10 mesi all’anno. Esiste una notevole correlazione tra il clima e l’impollinazione delle graminacee. Infatti, se le piogge sono abbondanti, la concentrazione di polline in primavera è maggiore.

Polline delle erbe infestanti

Le erbe infestanti, o erbacce, sono un tipo di piante che crescono su banchi di sabbia, in pianura, lungo il ciglio della strada e sul bordo di campi coltivati. La massima impollinazione della maggior parte delle piante appartenenti a questo gruppo avviene in estate, benché ci siano eccezioni; la parietaria, ad esempio, oltre ad essere la specie responsabile della maggior parte delle allergie, ha un lungo periodo di impollinazione (da marzo a ottobre).

Polline degli alberi

Generalmente il periodo di impollinazione degli alberi è breve, pertanto i pazienti presentano di solito manifestazioni cliniche solo per brevi periodi di tempo.

L’impollinazione avviene prima, durante o subito dopo la comparsa delle foglie, per cui nei climi temperati l’impollinazione termina quasi alla fine della primavera, quando gli alberi sono pieni di foglie. Tra gli alberi con i pollini più allergenici spiccano l’olivo e il salice.

 

Raccomandazioni per ridurre l’esposizione ai pollini

  • Durante la stagione dell’impollinazione, evitare di portare l’animale domestico in aree con abbondante vegetazione, soprattutto nelle prime e ultime ore del giorno.
  • Areare la casa durante le ore centrali del giorno o di sera.
  • Evitare situazioni di elevata esposizione ai pollini, come falciare il prato in presenza dell’animale. Evitare di accedere a luoghi con sovraccarichi di polline, come i fienili.
  • Quando si viaggia in auto, tenere chiusi i finestrini.
  • Evitare di fare giri in campagna e attraversare parchi e aree verdi nei periodi di maggiore esposizione, soprattutto nelle giornate secche, calde e molto ventose.
  • Fare il bagno all’animale, in quanto ciò aiuta ad eliminare gli allergeni depositati sulla pelle.

REAZIONI AVVERSE AGLI ALIMENTI NEGLI ANIMALI

Le reazioni di intolleranza alimentare comprendono qualsiasi risposta anomala non immunologica a un alimento e includono tossicità, reazioni idiosincratiche, reazioni farmacologiche e reazioni metaboliche. La dermatite allergica indotta da alimenti (DAIA) è definita come una reazione immunitaria esagerata e anomala ad un alimento, indipendente dall’effetto fisiologico dei suoi componenti.

La difficoltà di differenziare le reazioni puramente allergiche dalle reazioni di intolleranza alimentare porta ad inglobare tutte queste reazioni sotto il nome comune di “reazioni avverse agli alimenti”. Le reazioni avverse agli alimenti sono di origine non immunologica. La maggior parte dei cani e gatti con DAIA presentano manifestazioni cutanee accompagnate o meno da segni digestivi, sebbene la via d’ingresso dell’allergene sia quella intestinale. Non è molto chiaro perché alcuni cani e gatti presentino segni cutanei, altri segni gastrointestinali e altri una combinazione di entrambi. Esistono diverse ipotesi al riguardo.

Segni clinici

La dermatite allergica indotta da alimenti (DAIA) è l’allergia con la manifestazione più precoce. Infatti, nel 48% degli animali i segni clinici insorgono prima dell’anno di età. I segni clinici della DAIA sono prurito non stagionale e lesioni associate alla gravità del prurito o allo sviluppo di frequenti infezioni secondarie. La presenza di prurito nelle orecchie e nell’area perianale è molto caratteristica della DAIA, e nei pastori tedeschi è stata osservata una correlazione significativa tra la DAIA e la presenza concomitante di otite e fistole perianali. La prevalenza dell’otite durante il decorso della DAIA è molto elevata, con comparsa in fino all’80% dei casi, nel 24% dei quali essa può essere l’unica manifestazione clinica. Il quadro clinico di un’allergia alimentare può essere molto simile a quello di una dermatite atopica, in quanto tale patologia presenta gli stessi segni clinici e interessa le stesse aree (viso, padiglioni auricolari, ascelle, area inguinale e addome), rendendo impossibile distinguere tra le due condizioni in base alla sintomatologia clinica dell’animale. D’altro canto, è stato dimostrato che esiste una correlazione significativa tra le due condizioni; infatti, secondo i diversi studi condotti, dal 3 al 30% degli animali soffre di entrambe le allergie.

Nel caso dei felini, la presentazione clinica può consistere in prurito non stagionale generalizzato, lesioni del complesso del granuloma eosinofilo, prurito alla testa e al collo, dermatite miliare, alopecia autoindotta, dermatite esfoliativa e, in alcuni casi, angioedema e orticaria.

Diagnosi

L’unico test efficace e valido per la diagnosi delle reazioni avverse agli alimenti è rappresentato da una dieta di eliminazione della durata di 8 settimane con controllo della scomparsa dei segni clinici in tale lasso di tempo. La diagnosi sarà eseguita a seguito della ricomparsa dei segni clinici dopo l’esposizione dell’animale agli alimenti che assumeva in precedenza e alla loro scomparsa a seguito del ritorno alla dieta ipoallergenica.

A livello di analisi di laboratorio, analizzando un campione di sangue è possibile stabilire se l’animale presenta anticorpi contro allergeni di origine animale o vegetale. Occorre però menzionare che l’interpretazione dei test ha un valore più che altro predittivo; i risultati negativi si aggirano intorno all’80%.

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Come viene diagnosticata l’allergia negli animali

La diagnosi della DAC si basa su un corretto protocollo diagnostico nell’ambito del quale devono sempre essere escluse le cause più comuni di prurito nei cani, come l’ectoparassitosi o le infezioni batteriche o fungine.

Purtroppo non è sempre possibile dimostrare la presenza di IgE mirate agli allergeni ambientali.

Analizzando un campione di sangue è possibile stabilire se l’animale presenta anticorpi contro la saliva delle pulci, contro agenti patogeni microscopici come Malassezia o contro allergeni ambientali.

Nel caso dell’allergia alimentare, il modo migliore per escluderla/diagnosticarla è mediante una dieta di esclusione o eliminazione della durata di almeno 8 settimane. Tale dieta dovrebbe basarsi su proteine nuove per l’animale o su alimenti commerciali altamente idrolizzati. I test di allergia alimentare sono utilizzati per stabilire quali alimenti occorre evitare di includere nella dieta di eliminazione.

Da tempo sono disponibili alcuni criteri diagnostici che i medici possono utilizzare per identificare i casi dermatologici suscettibili di essere una DAC. Uno studio di Favrot et al. ha dimostrato che, se vengono applicati 5 degli 8 criteri clinici riportati di seguito, è possibile diagnosticare la DAC con una sensibilità dell’85% e una specificità del 79% e differenziarla da altre malattie associate a prurito ricorrente o cronico.

Criteri di Favrot

Criteri diagnostici per la dermatite atopica del cane (almeno 5 confermati)

  1. Comparsa dei segni prima dei 3 anni di vita
  2. Cane che vive principalmente in ambienti interni
  3. Prurito che risponde ai glucocorticoidi
  4. Prurito sine materia nella fase iniziale (es. prurito primario/senza lesioni)
  5. Interessamento delle zampe anteriori
  6. Interessamento dei padiglioni auricolari
  7. Margini auricolari non interessati
  8. Area dorso-lombare non interessata

È disponibile un trattamento per il controllo dell’allergia?

L’allergia può essere controllata fino a far sì che l’animale non sia sintomatico, vale a dire, che non si gratti. Nel caso delle reazioni avverse a un alimento e dell’allergia al morso di pulce, il trattamento consiste nell’evitare gli allergeni (gli ingredienti coinvolti nel quadro clinico e la presenza di pulci, sia sull’animale che nell’ambiente in cui vive).

Nel caso della dermatite atopica del cane (DAC) è impossibile mantenere uno stretto controllo della presenza degli allergeni ambientali coinvolti, pertanto occorre ricorrere a terapie farmacologiche o all’uso dell’immunoterapia. L’immunoterapia dovrà essere considerata il trattamento di scelta per il controllo della DAC.

Grazie a Letiph.

NOVITA’ 2020: DETRAZIONI VETERINARIE

NOVITA’ 2020: DETRAZIONI VETERINARIE

Dal primo gennaio, in base alla Legge di Bilancio 2020, sono entrate in vigore le nuove norme fiscali per le detrazioni delle spese veterinarie.

Da quest’anno, il tetto di spesa veterinaria sale a 500 euro (precedentemente 387,34 euro).

Tenendo conto dell’abbattimento della franchigia (129,11 euro), il beneficio fiscale effettivo (sotto forma di riduzione dell’Irpef dovuta dal proprietario) sarà di 70 euro contro i 49 consentiti fino ad ora.

Nel tetto dei 500 euro ammessi alla detrazione d’imposta rientrano anche le spese sostenute per l’acquisto di medicinali veterinari.

Beneficiano interamente dello sconto fiscale le persone fisiche il cui reddito complessivo, cioè il reddito al netto della prima casa, non supera i 120mila euro all’anno.

Prima della Legge di Bilancio 2020 non erano previste soglie reddituali per accedere alla detrazione di imposta.

Non essendo considerate “spese sanitarie” dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi, le spese veterinarie rimangono a rischio per i proprietari con redditi oltre i 120mila euro. Infatti, la rimodulazione delle detrazioni fiscali (tagli o eliminazione) prevista dal disegno di legge del Governo è stata infatti confermata eccetto che per le “spese sanitarie” ovvero le spese per cure e farmaci alle persone.


Una ulteriore novità è data dalla modalità di pagamento della spesa veterinaria: la detrazione spetta a condizione che l’onere sia sostenuto con POS, versamento bancario o postale oppure mediante altri sistemi di pagamento diversi dal contante.

Sono esclusi dall’obbligo di tracciabilità gli acquisti di medicinali e di dispositivi medici, nonchè le spese sanitarie versate a strutture pubbliche o accreditate al SSN.

La Commissione Bilancio ha invece respinto l’emendamento (a prima firma della sen. Monica Cirinnà PD) che proponeva di riconoscere il beneficio fiscale della detrazione d’imposta a partire da spese veterinarie superiori a 60 euro, ma fino all’importo di 1.060 euro.

Bocciati anche gli emendamenti per ridurre l’IVA sulle cure veterinarie e sul pet food.

La detraibilità delle spese veterinarie è riconosciuta solo per gli animali da compagnia, detenuti senza finalità economica.

Non spetta quindi per le spese veterinarie sostenute per gli animali destinati all’allevamento, alla riproduzione o al consumo alimentare, per gli animali allevati o detenuti nell’esercizio di attività agricole o commerciali.

 

PER INFO:

https://www.anmvioggi.it/rubriche/fisco/68982-detrazioni-veterinarie-in-vigore-le-nuove-norme-fiscali.html?fbclid=IwAR2YDRjXZcB2JGnVyHm-rZyWClAzZk5XXgvYp_BfyPYUhQ7vToVFDXW4l3w

https://www.anmvioggi.it/rubriche/parlamento/68828-detrazioni-veterinarie-via-il-tetto-massimo-si-parte-da-60-euro.html

https://www.anmvioggi.it/in-evidenza/68935-detrazioni-21-euro-in-piu-tracciabili-e-fino-a-120mila-euro.html

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01141108.pdf

NOVITA’ 2020: MICROCHIP OBBLIGATORIO PER I GATTI IN LOMBARDIA

NOVITA’ 2020: MICROCHIP OBBLIGATORIO PER I GATTI IN LOMBARDIA

Dal primo gennaio è entrato in vigore il Piano Regionale integrato della Sanità Pubblica Veterinaria 2019-2023, che rende obbligatoria l’ applicazione di chip identificativo per i gattini nati, adottati o comprati dopo tale data.

Il provvedimento non è retroattivo: i proprietari di gatti adottati prima di gennaio possono scegliere liberamente se effettuare la procedura.

Il microchip è un minuto dispositivo biocompatibile che si inserisce sottocute, generalmente sfruttando l’anestesia della sterilizzazione; è possibile applicarlo anche senza sedazione se il gatto ha un temperamento tranquillo.

Il costo dell’ operazione è variabile, generalmente intorno ai 40 euro.

 

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Una volta registrato in Anagrafe felina i dati dell’animale sono associati a quelli del proprietario in modo che sia facilmente rintracciabile in caso di ritrovamento del felino.

 

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Finalmente il gatto inizia ad avere i riconoscimenti amministrativi che, speriamo, determinino una drastica riduzione di randagismo e abbandono.

ANCHE IL TUO CANE E’ UN SUPEREROE!

ANCHE IL TUO CANE E’ UN SUPEREROE!

Anche il tuo cane può salvare delle vite attraverso la donazione di sangue!

Se il tuo cane è

  • di indole docile,
  • in buona salute,
  • sottoposto a periodici controlli veterinari,
  • ha tra i 2 e gli 8 anni di età,
  • pesa 25 Kg o più,
  • è vaccinato
  • viene protetto regolarmente nei confronti di endo ed ecto-parassiti e protetto contro artropodi vettori di agenti infettivi (pulci, zecche, flebotomi, zanzare)

è il candidato ideale per diventare UN CANE DONATORE.

La trasfusione di sangue è una procedura che consente il trasferimento di sangue (o componenti o derivati) da un soggetto donatore sano a un soggetto ricevente.

Grazie all’iniziativa di Confido in Brugherio (MB), associazione nata per volontà di un piccolo gruppo di cittadini brugheresi accomunati dall’amore per gli animali, sta nascendo un progetto per la creazione di un registro che riunisca tutti i Veterinari aderenti e tutti i cani donatori per rendere più semplice la disponibilità delle sacche di sangue in caso di necessità.

 

cane donatore

 

La tempestività in caso di emergenza è di vitale importanza e può cambiare il destino dei nostri amici ed anche i cani donatori ne gioverebbero, avendo così un attento e completo monitoraggio della loro salute e del loro benessere.

E per i più piccoli?

Anche i cani che per la loro taglia o età non possono donare possono sostenere attivamente arruolando i loro amici!!

 

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Info: http://www.confidoinbrugherio.it/attivita.html